Da quando Matteo Renzi è al centro della pubblica attenzione, Angelino Alfano e Silvio Berlusconi si sono resi protagonisti di un’altra partita. Una partita che è passata in sordina e che risale ai giorni in cui l’ormai ex sindaco di Firenze meditò di consumare lo «scacco» ai danni di Enrico Letta, succedendogli nei panni di Presidente del Consiglio. Ad allora si riconduce la sua decisione di defilarsi dagli impegni programmatici del governo, e di aprire il tavolo sulla discussione della legge elettorale. Fu una delle prime avvisaglie della volontà di imprimere un abbrivio, di far cambiare passo all’esecutivo. Fatto sta che quella decisione aprì un «braccio di ferro» tra i leader di Nuovo Centrodestra e Forza Italia, al centro di cui c’è proprio Matteo Renzi.
Sulla riforma elettorale, anzitutto, le parti si giocano una grande fetta di rilevanza politica. Sotto questo profilo, Berlusconi ha potuto beneficiare del binario aperto da Renzi mentre Angelino era occupato a tenere le redini di un governo sull’orlo del baratro. I due sono arrivati ad una bozza di legge condivisa, ora «congelata» in vista di ulteriori sviluppi. Il Nuovo Centrodestra ha assistito a questo confronto dalle retrovie, a dir la verità non troppo contento della forza politica che Matteo contribuiva a riconferire a Silvio, da poco defenestrato dal Senato della Repubblica. I frutti di quel confronto giovano a Forza Italia anche oggi, considerando che la legge elettorale è elemento integrante del programma renziano, e che il Presidente del Consiglio dovrà scendere a patti se non vorrà far saltare il banco delle riforme. La «partita sorda» tra i due si gioca anche sul terreno delle elezioni politiche: Berlusconi stringe per andare a votare entro un anno; Alfano ha bisogno di tempo (e di fatti) per concretizzare la successione al leader storico del centrodestra. Nondimeno, è evidente che l’interesse di Renzi sia quello di salvaguardare la compagine che si è resa disponibile a collaborare con lui. Pertanto, venerdì notte, in un vertice con Delrio, Franceschini, Lupi e Alfano stesso, ha messo a punto la norma «salva legislatura», cioè l’inserimento di una clausola che subordini l’entrata in vigore della legge elettorale alla riforma del Senato, così da scongiurare l’ipotesi delle urne entro un anno e da prolungare l’orizzonte politico del governo.
Berlusconi, che pure si sente stretto in una morsa, preferisce prendere tempo, ben consapevole che la rottura dei rapporti con l’asse governativo potrebbe relegarlo ad un ruolo marginale in una fase piuttosto delicata; peraltro, il partito sembra attualmente diviso in una frangia più propensa a collaborare, e in una che non ha esitato a imprecare contro il segretario democrat durante il dibattito in assemblea. Tale frazionamento si deve probabilmente all’assenza di una linea dettata dalla leadership, fonte dell’indecisione che divora Berlusconi, e che lo mette dinanzi a un bivio: fare una dura opposizione, puntando a rovesciare l’esecutivo e a presentarsi alle elezioni nel 2015, oppure discutere nel merito i provvedimenti promossi dalla maggioranza, facendo leva sul numero di parlamentari di cui dispone per riconquistare rilevanza politica a detrimento di Alfano.
«La verità – spiega La Russa – è che Forza Italia si è mossa in questa fase avendo per obiettivo Alfano. Quando Renzi lo ha attaccato, loro si sono schierati con Renzi. Ora che Renzi ce l’ha come alleato, loro attaccano Renzi». Pare dunque destinato a consolidarsi l’asse tra Matteo e Angelino; certo lasciano spazio a pochi dubbi le parole del leader Ncd quando dice che i forzisti «avevano scommesso sulla nostra eliminazione, prima con la legge elettorale e poi facendo pressioni sul governo». Per ora, non ci sono riusciti. Ma la partita, per quanto sorda, è ancora lungi dall’essere conclusa.
Discussione su questo articolo