L’editoria italiana si prepara a dire addio a L’Unità, storico quotidiano di sinistra, fondato dal comunista Antonio Gramsci. Oggi in edicola potrete trovare l’ultimo numero della testata, poi – da venerdì – i suoi giornalisti saranno tutti a spasso e resteranno orfani quei – pochi, pochissimi – lettori tanto affezionati al giornale che ha rappresentato di fatto l’organo d’informazione – e di propaganda – del Pd. Ma forse non del nuovo Pd di Matteo Renzi.
Diversi esponenti della sinistra italiana si stracciano le vesti e inondano le agenzie di stampa con i loro comunicati pieni di lacrime – di coccodrillo – per la morte del giornale che tuttavia non poche volte ha dato fastidio agli stessi compagni.
“Hanno ucciso l’Unità”, si leggeva ieri sul quotidiano. Ma chi è stato? Chi l’ha uccisa davvero? Si vogliono dare colpe alla politica, al governo, agli imprenditori. Ma ad uccidere l’Unità sono stati in realtà i lettori, che hanno smesso di comprarlo, che lasciavano il giornale nelle edicole, perché pian piano hanno deciso che per quelle pagine non vale più la pena spendere soldi.
E in parte l’hanno uccisa i giornalisti che ci lavoravano. Hanno lottato fino all’ultimo per tenerla in piedi, hanno lavorato senza stipendio negli ultimi tre mesi, ma inutilmente. Perché l’Unità resta un giornale fatto male, “vecchio” nello stile e nell’anima.
Chi è causa del suo mal pianga se stesso, viene da dire. Si guardino allo specchio direttore e redattori e facciano un mea culpa. Non sono stati in grado di garantire al proprio giornale quel successo che gli avrebbe consentito di restare sul mercato.
L’Unità, come tanti altri quotidiani e periodici, ha campato per anni grazie ai soldi dei contribuenti italiani, grazie a una legge sull’editoria che ha garantito milioni di euro a un quotidiano che altrimenti, senza quei soldi pubblici, sarebbe scomparso già da tempo.
E qui vale la pena di affrontare, come più volte abbiamo fatto su ItaliaChiamaItalia, il tema dei contributi pubblici all’editoria. Giornali dopati, incapaci di reggere il confronto con la concorrenza, con le vendite nelle edicole, che vanno avanti solo perché sostenuti dallo Stato. E lo Stato, soprattutto quando si tratta di sganciare soldi, siamo noi tutti. Ma gli italiani sono stufi di mantenere imprese altrui: hanno già i propri problemi con le spese quotidiane legate a casa, macchina, fatture varie. Perché dovrebbero sborsare soldi per mantenere imprese editoriali che non valgono nulla? Che non sfondano e non hanno alcun appeal sui lettori?
Qualcuno, inoltre, pare dimenticarsi che viviamo nell’era del www e che ormai i più giovani i giornali li leggono – quando li leggono – su internet. L’informazione oggi corre in Rete e le edicole chiudono una dietro l’altra. Le parole d’ordine dell’informazione oggi sono tempo reale, costo zero per i lettori, velocità delle news e capacità di approfondire anche sul web. Foto, video, multimedialità: questa è oggi l’informazione in tutto il mondo. I giovani, in particolare, non sanno nemmeno cosa sia spendere soldi per comprare un giornale in edicola. E i lettori dell’Unità erano nella maggior parte dei casi anziani affezionati al giornale, che vanno a ridursi con il tempo che scorre impietoso. Lasciando un vuoto nelle casse del quotidiano fondato da Gramsci.
Italiachiamaitalia.it è online da otto anni ormai, sta per entrare nel suo nono anno di vita e – fra alti e bassi – continua a crescere. Le difficoltà sono enormi, le responsabilità – anche economiche – sulle nostre spalle si fanno sempre più pesanti, ma siamo orgogliosi di potere offrire ogni giorno un prodotto che ormai è diventato un punto di riferimento per migliaia di italiani residenti oltre confine, ma non solo.
Personalmente, se un giornale è costretto a chiudere perché non è più competitivo, ne prendo atto senza tanti piagnistei. Vale per l’Unità come varrebbe per Libero o il Giornale, intendiamoci.
Ancora una volta, diciamo basta al contributo pubblico ai giornali. Si è abolito il finanziamento pubblico ai partiti: è ora di smetterla con milioni di euro dati a editori che stampano giornali che non vendono. Un imprenditore assume su di sé il rischio del proprio progetto: se il progetto naufraga, beh, lo si lasci annegare. Non è più tempo di ciambelle di salvataggio statali.
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