La ‘magnifica ossessione’ di Stefano Pirazzi rischia di vedere consegnata ai posteri una cartolina a metà. Difficilmente vedremo sui libri di ciclismo il suo gesto dell’ombrello al traguardo di Vittorio Veneto: non proprio un’esultanza consona al Giro e, in generale, alla nobiltà di uno sport dove le cattive abitudini di altri mondi se ne girano al largo. Meglio andare di matita rossa e soffermarsi invece su quel pianto a dirotto per una vittoria cercata a lungo: ben cinque anni. Restano, comunque, le scuse per un gestaccio che Pirazzi giustifica con una rabbia covata dentro da tempo e che cercava solo una valvola di sfogo per uscire. L’occasione è arrivata con la 17/a tappa, dopo 208 sudatissimi km e uno scatto bruciante negli ultimi 1300 metri dove ha battuto i quattro che erano andati in fuga con lui: il belga Tim Wellens, l’australiano Jay McCarthy, l’altro belga Thomas De Gendt e l’taliano Matteo Montaguti. Il modo migliore, spiega, per rispondere alle tante critiche che hanno appesantito questi anni da pro.
"Più passavano i giorni, più il morale scendeva", confessa il corridore, laziale di Alatri. "Finalmente è arrivata una vittoria per tirarmi su. Mi spiace per il gesto, chiedo scusa. L’ho fatto e non posso tornare indietro. Ma – sottolinea – chi conosce la psicologia di un ragazzo che ha fatto tanti sacrifici, che cercava di vincere ma non ci riusciva mai per errori o sfortuna, può capire. Eppure – continua Pirazzi – ho sempre dato spettacolo quando correvo. E comunque, sapevo che prima o poi la vittoria sarebbe arrivata". "Critiche dal gruppo? No, mai ricevute", chiarisce. "Forse un po’ nei primi anni. Poi, quando ho capito come bisogna attaccare, nessuno mi ha più detto nulla". Ammette, Pirazzi, di covare un animo "istintivo, lo avevo soprattutto ad inizio carriera. Ma non è vero che non rispetto gli ordini dell’ammiraglia", puntualizza.
Il trionfo odierno, spiega, era nell’aria: "Nelle prime settimane ho faticato ma sentivo che la gamba cresceva. Mi sono detto: qualcosa di buono sta per arrivare". E così è stato: "Ho colto il momento giusto". Anche perché sulla carta dei quattro era il meno veloce e indicato per la vittoria: "Dovevo attaccare da lontano, la tappa è stata faticosa e nel finale mancavano le energie. Ho rischiato molto. Temevo in particolare De Gendt. Quando si sono mossi gli altri, al primo rallentamento mi sono detto: devo partire. E così ho guadagnato quei metri che mi ha permesso di arrivare primo". Obiettivo raggiunto, ma non per questo c’è di che riposarsi: "C’è ancora la cronoscalata, posso dire la mia. Vediamo. Il mio Giro, comunque, è stato positivo". Da oggi, la sua magnifica ossessione è stata messa a tacere.
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