La settimana scorsa, il “Corriere Canadese”, l’unico quotidiano italiano in Canada fondato nel 1954, ha sospeso le pubblicazioni. “In un Paese multietnico come il Canada, il Corriere Canadese è stato anche il collante tra le varie generazioni: non solo gli italo-canadesi cresciuti con il giornale ma anche i loro figli, i giovani interessati a tutto ciò che è italiano”, scrive il direttore Paola Bernardini nel suo editoriale in cui si domanda: “Il Corriere avrà un futuro? La chiusura definitiva sarebbe un “delitto editoriale”. Perché un quotidiano che ha quasi 60 anni di storia, il secondo più antico a Toronto dopo lo Star, non avrebbe dovuto subire tutto questo. Doveva e deve essere considerato un bene prezioso, di cui si avrà la percezione solo quando verrà a mancare”.
Naturalmente Il Corriere Canadese ha lanciato un appello alle forze politiche e sociali, alla comunità, per essere sostenuto. Bisognerà vedere se potrà continuare ad essere scritta la storia di quella gloriosa testata. Glielo auguriamo.
Purtroppo non è un caso isolato e negli ultimi anni anche altre gloriose testate hanno dovuto, se non smettere le pubblicazioni, ridurre la frequenza oppure passare al web.
In realtà in quasi tutto il mondo la stampa su formato cartaceo si trova, in genere, ad affrontare la difficile coabitazione del mezzo cartaceo con quello digitale, la vendita all’edicola e la presenza sul web. Anche noi siamo impegnati sui due fronti, non senza difficoltà.
Abbiamo ricordato in altre occasioni le parole di Ettore Rossi, fondatore del Corriere degli Italiani di Buenos Aires, sulla passione che muove chi si occupa di fare un giornale, delle gioie e delle amarezze di questo mestiere, con una bilancia che, purtroppo, pende di più dalla parte di queste ultime. “E mentre in ogni foglio si richiudono impensabili, infinite possibilità, non è meno vero che ogni periodico che riduce le pagine o rallenta la tiratura fino a scomparire, è una posizione perduta per sempre, che non si riconquisterà mai più”, scriveva il fondatore del Corriere degli Italiani di Buenos Aires, nel 1961, pochi giorni prima della sua morte.
Sabato prossimo la nostra TRIBUNA ITALIANA compirà 36 anni. Un nuovo compleanno che, come è stato in altre occasioni nella storia del nostro giornale, celebriamo in un momento di incertezze. Incertezze perché, come non avveniva da tempo, l’Argentina e l’Italia vivono contemporaneamente, momenti difficili. L’Italia perché non riesce a far decollare la sua economia e nemmeno a superare la crisi politica nella quale si è cacciata. L’Argentina perché si è fermato l’impulso che per quasi dieci anni – pur con tutti i difetti e zone buie del “modello” – aveva trascinato la ripresa economica e oggi oltre ai problemi economici, preoccupano la divisione della società e i pericoli per la vita democratica, creati da successive iniziative del governo.
Incertezze per il momento assolutamente originale che viviamo come comunità, con il passaggio di consegne alle nuove generazioni, in una società argentina nella quale ci sono importanti settori che mettono in discussione, o addirittura respingono, la validità del modello di Paese costruito tra l’altro, col contributo determinante dell’emigrazione italiana. Un dibattito o una messa in discussione della quale la volontà di togliere il monumento a Cristoforo Colombo è solo una tra le più vistose espressioni, ma non l’unica nè la più importante.
Incertezza anche per le difficoltà che abbiamo come giornale, anche per questioni di rilevante importanza per un giornale, come è la distribuzione. Infatti, affrontiamo grosse difficoltà, sia per l’invio del giornale per posta, sia per distribuire i giornali nelle edicole. Per non parlare degli aumenti dei costi e della riduzione delle entrate.
La decisione sulla sospensione delle pubblicazioni da parte del Corriere Canadese è stata presa dall’editore, che si trova a Roma. Forse se la comunità italiana in Canada si impegnerà, la antica testata potrà ripartire. Come abbiamo spiegato tante volte, ma lo ribadiamo, ci sono tre possibilità nel mondo dell’editoria per le nostre comunità: o viene sostenuta dal governo, o si muove solo in base a criteri economici e se i conti non tornano si chiude, oppure la comunità la sente come espressione della sua vita, della sua realtà e allora la sostiene.
TRIBUNA ITALIANA è sempre stata sostenuta dalla collettività nella quale è nata e di ciò siamo fieri e grati a tutti quanti in questi 36 anni non ci hanno fatto mancare il sostegno. L’ultimo esempio nel tempo, è quello di Sebastiano Di Ponte, che ieri è venuto in ufficio a pagare l’abbonamento. Ma non vuole il giornale, perché la posta glielo consegna con molto ritardo. Preferisce comprarlo all’edicola per leggerlo il mercoledì stesso, ma comunque continua a collaborare, a sostenerci, pagando anche l’abbonamento. Tante grazie all’amico Di Ponte e a tanti altri amici che oggi come ieri capiscono che il giornale è parte della vita della comunità ed espressione di essa e per questo va sostenuto. Speriamo che lo capiscano anche i maggiori responsabili della nostra comunità. Ancora tante grazie e “feliz cumpleaños” a tutti i nostri amici lettori, perché, come sosteneva il dott. Mario Basti, il giornale è nostro, cioè di chi lo scrive e di coloro che lo leggono. Vostro. Grazie.
IL DIRETTORE di TRIBUNA ITALIANA
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