Roma – Finanziamenti privati per restituire i partiti ai cittadini. È il Baccini-pensiero espresso nella proposta di legge per la riforma dei rimborsi elettorali presentata alla Camera dal parlamentare del Pdl, presidente dei Cristiano-Popolari. Nel suo testo, Mario Baccini propone di finanziare i partiti attraverso contributi volontari da parte degli elettori, in modo che lo Stato non si trovi più a finanziare direttamente partiti e movimenti politici, ma sia la collettività a farlo attraverso lo sgravio fiscale delle somme date per contribuzione. Ma un modello in puro stile americano è applicabile al nostro Paese?
Onorevole Baccini, la sua proposta di legge disegna un quadro molto distante da quello attuale, più vicino alla campagna elettorale che sta sostenendo attualmente il presidente Obama. In Italia è possibile replicare tutto questo?
Il finanziamento deve essere privato, va eliminato completamente il finanziamento pubblico. È giusto che la politica sia sostenuta nei suoi costi vivi, ma questo sostegno deve venire esclusivamente da versamenti privati, attraverso apposite detrazioni fiscali per chi contribuisce fino a 2mila euro. In questo modo i partiti potranno essere restituiti agli elettori e smetteranno di essere autoreferenziali come, invece, sta accadendo attualmente.
In questo modo, però, si rischia che rimanga in campo solamente chi ha già una vasta disponibilità economica. Non ha ragione Casini quando dice che, con l’abolizione dei finanziamenti, rimarrà solo Berlusconi?
Casini dice solo una parte della verità e io la condivido, ma i dati che si evidenziano con tutto quello che sta accadendo in questi giorni fanno capire che bisogna cambiare il metodo. Il vero problema è il finanziamento diffuso, devono nascere dei meccanismi di controllo dei bilanci.
A che cosa serve riequilibrare i finanziamenti? Nonostante i controlli, sembra sempre che i vizi del malcostume politico rimangano…
Controllare la provenienza del finanziamento serve a due aspetti, per ottenere una maggiore chiarezza nelle attività del partito e per restituire al popolo il senso di appartenenza a un’organizzazione partitica.
Prima accennava a “quello che sta accadendo in questi giorni” riferendosi allo scandalo che ha travolto la Lega. Secondo lei è possibile che Bossi non sapesse quanto stava accadendo?
Attualmente ci troviamo di fronte a congetture, i processi si fanno in tribunale anche se ormai siamo abituati a farlo sui media senza che chi ascolta l’accusa abbia possibilità di sentire anche la difesa. Io non mi voglio iscrivere al bipolarismo muscolare di chi sostiene la ragione o il torto di un indagato.
È garantista?
Fino a prova contraria tutti sono innocenti, sono più che garantista. Ci saranno dei capi di accusa, li vedremo e valuteremo. Per il momento bisogna ancora capire quali siano. L’opinione pubblica dimentica spesso che i giudici non sono i pm, il pm fa l’accusa e, poi, c’è la difesa che deve avere le giuste chance per tutelarsi. Infine, ci sarà un giudice che deciderà.
L’opinione pubblica, ultimamente, è concentrata su vicende pratiche e quotidiane come il costo della vita. In questi giorni si era parlato anche di una tassa sugli sms, poi ritirata, e di un nuovo incremento della benzina. Non ritiene che Monti stia esagerando?
Penso che il governo Monti stia agendo bene e che stia facendo il massimo possibile che si poteva chiedere a un esecutivo di questa natura. Non dimentichiamo che, con la nostra scelta, abbiamo abdicato alla possibilità di compiere certe scelte. Se fossimo stati bravi a fare da soli, queste cose le avremmo fatte noi.
Anche la stampa estera, però, non è stata tenera ultimamente nei confronti di Monti…
Per una serie di ragioni note a tutti, siamo stati costretti a chiedere a Monti di intervenire e, ora, è giusto dargli tutto l’appoggio possibile.
Il Pdl, però, non sembra più così disposto ad appoggiare Monti, quando si parla di riforma del lavoro…
Dobbiamo raggiungere una giusta flessibilità del lavoro, è questa la parola chiave. L’articolo 18 è diventato un manifesto ideologico da entrambe le parti e non è giusto. Dobbiamo instaurare una nuova cultura del lavoro, non c’è più il posto fisso ma c’è una flessibilità dove tutti possono lavorare. Per fare tutto questo, però, bisogna riparametrare il benessere poiché siamo alla fine dell’era del Pil. L’Italia non può essere misurata solamente con il Pil, ma con tutto il benessere e l’economia che abbiamo creato. Riparametrare il benessere è il primo passo per tutte le riforme.
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