Paolo Maggi, manager di una multinazionale svedese, è da oltre 15 anni residente a Dallas. E, come tanti altri, teme la diffusione del virus Ebola. “Siamo preoccupati –spiega -, perché ieri la scuola frequentata da mia figlia ci ha comunicato che un genitore di un bambino è sotto osservazione per essere stato a contatto con chi è stato contagiato dal virus. Ci hanno detto che questa persona è monitorata da 14 giorni e per ora non ha avuto i sintomi dell’Ebola".
Per ora non sono previste restrizioni per gli alunni e questo monitoraggio – riporta la nota della scuola – durerà fino al 21esimo giorno, come prevedono le indicazioni dei Cdc nel caso di un sospetto caso di Ebola.
"L’istituto – continua Maggi – ci ha rassicurato, ma è chiaro che tra i genitori serpeggia una certa ansia, anche per quello che i media riportano giorno dopo giorno. Ai bambini per ora è stato detto che c’è una malattia che si chiama Ebola e che devono contare fino a 20 quando si lavano le mani".
La tensione in città continua ad aumentare, soprattutto dopo i casi delle due operatrici sanitarie del Dallas Presbyterian Hospital – un’infermiera e una aiuto infermiera – contagiate dopo aver curato Thomad Duncan, il primo caso di Ebola in Usa. "Mia figlia è nata in quella struttura – aggiunge – e sapere che qualcosa all’interno dell’ospedale non ha funzionato ci lascia senza parole. Per noi è un punto di riferimento"
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