Due donne, due figlie di generali dell’aeronautica dal passato diametralmente opposto sono le protagoniste-rivali delle elezioni presidenziali di domenica in Cile: l’ex presidente socialista e superfavorita Michelle Bachelet, il cui padre fu ucciso dalla dittatura di Augusto Pinochet, ed Evelyn Matthei, candidata del centrodestra, il cui padre fu invece ministro del regime militare. Bachelet (62 anni) arriva all’appuntamento delle urne con un comodo vantaggio di 30 punti nei sondaggi. E spera ormai di strappare la vittoria alla prima tornata, senza dover attendere il ballottaggio: secondo le indagini demoscopiche le mancano 3-4 punti per superare il 50% e trasformare l’atteso ritorno alla guida del Cile, dopo tre anni come responsabile dell’agenzia Onu per le donne, in un trionfo di proporzioni storiche. Oltre che in una rivincita immediata del centro-sinistra, sconfitto nel 2009 dalla ‘nuova destra’ dell’imprenditore Sebastian Pinera, presidente per un solo mandato. Matthei (62 anni anche lei) sembrava certa di poter andare almeno al ballottaggio fino a poche settimane fa, anche se con poche chance di vittoria finale. Ma le baruffe interne all’Alianza, la coalizione di centro-destra che appoggia il governo del presidente uscente Pinera, e l’avanzata nei consensi dell’outsider della contesa elettorale Franco Parisi – un economista noto come divulgatore in programmi radio e tv – l’hanno relegata molto indietro: tanto che gli ultimi sondaggi la accreditano un 15% scarso di intenzioni di voto.
Lo scrittore Ariel Dorfman, in un articolo pubblicato oggi sul Pais di Madrid, ricorda come i padri delle due candidate, Alberto Bachelet e Fernando Matthei, fossero amici dai tempi dell’Accademia Aeronautica. La stessa di cui Matthei divento’ direttore, nominato da Pinochet, nel gennaio 1974. E la stessa in cui invece, due mesi piu’ tardi, Bachelet mori’ stroncato da un infarto a causa delle torture subite dopo il suo arresto. La vittoria annunciata di Michelle Bachelet si profila ora come un nuovo capitolo nella love story fra l’elettorato del Cile moderno e la sorridente leader socialista. Leader che continua a far leva su un pragmatismo e una volonta’ di dialogo molto lontani – sullo scenario sudamericano – dai toni accesi della ‘sinistra bolivariana’ incarnata negli anni scorsi da Hugo Chavez e tuttora al potere in Venezuela, Ecuador e Bolivia con i ‘tribuni’ Nicolas Maduro, Rafael Correa ed Evo Morales. Bachelet puo’ contare d’altra parte su uno stabile e invidiabile livello di popolarita’ personale in tutto il continente: alla fine del suo precedente mandato (2006-2010) aveva un indice di gradimento addirittura superiore all’87%. La sua immagine del 2013 non e’ tuttavia identica a tre anni fa: quest’anno si presenta infatti come candidata di una coalizione che oltre a socialisti e democristiani (pilastri finora della Concertacion di centro-sinistra) ingloba pure i socialdemocratici e, per prima volta dal ritorno del Cile alla democrazia, i comunisti. Non solo: forte della credibilita’ del suo nome, Michelle Bachelet ha disegnato una squadra di governo composta in maggioranza da quarantenni e ha promesso riforme radicali per rispondere alle emergenze sociali e politiche del Paese: anzitutto quella della scuola – segnata dalle rivolte studentesche iniziate nel 2010 -, ma anche del fisco, dei diritti sindacali, della riforma costituzionale.
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