L’Argentina vive col suo nuovo Presidente Mauricio Macr, quella che viene definita come "luna de miel". Nei primi chilometri del viaggio che ha appena intrapreso l’Argentina, la società è ancora, nella stragrande maggioranza, entusiasta o almeno ben disposta col governo che si è insediato lo scorso 10 dicembre. Festa, allegria, sollievo, sono stati i sentimenti inizialmente provati da una buona parte della società, anche tra tanti che non avevano votato l’Ingegnere. Favore che hanno mantenuto anche grazie ai primi gesti di dialogo e di apertura del capo dello Stato, a cominciare dagli incontri con i candidati alla presidenza degli altri partiti (da lui sconfitti nelle due tornate elettorali) e con i governatori delle 24 province argentine, compresa Alicia Kirchner, governatore di Santa Cruz, sorella e cognata dei due predecessori di Macri.
Le polemiche delle ultime ore per la nomina con un decreto (invece di aspettare l’accordo del Senato quando riprenderanno le sessioni ordinarie il 1º marzo) dei due membri della Corte Suprema che mancavano per completarne il corpo, potrebbero ridurre i tempi di consenso che generalmente viene concesso a un nuovo governo, anche se la procedura utilizzata da Macri è prevista dalla Costituzione. Ma non è questo il tema di questo fondo.
Dopo il successo di Macri, lo scorso 22 novembre è cominciata una nuova polemica, sul futuro del monumento a Cristoforo Colombo, donato dalla collettività italiana un secolo fa e che per un capriccio dell’ex presidente Cristina Kirchner fu rimosso dalla piazza in cui si trovava, dietro alla Casa Rosada, e portato in un grande molo, di fronte all’edificio principale dell’aeroporto Jorge Newbery, sulla Costanera Rafael Obligado, dove si stanno svolgendo i lavori per rimetterlo in piedi. (…)
Ora qualcuno vuole che il monumento sia portato indietro e rimesso in piazza Colón e chiede incontri con il Presidente, Mauricio Macri e con il capo del governo della Città di Buenos Aires, Rodríguez Larreta, per reclamare una loro decisione sulla questione. Quelle persone devono ricordare che il monumento appartiene alla Città e che essa in accordo con lo Stato nazionale decise di spostare l’opera dalla piazza in cui si trovava da quasi un secolo, nel molo “Puerto Argentino”, che si introduce nel Rio de la Plata, davanti all’Aeroparque. Quell’accordo, ratificato dal “Congreso Nacional” e dalla “Legislatura” della Città di Buenos Aires, è stato dichiarato legittimo e legale dalla magistratura, in sede di appello, che tra l’altro dispose che corrispondeva il pagamento delle spese processuali alle società che avevano richiesto la dichiarazione di incostituzionalità dell’accordo e avevano avuto torto. Qualcuno vorrebbe ricorrere alla Corte Suprema, ma gli argomenti per farlo sembrano non esserci.
Come potrebbe essere ottenuta la decisione di far ritornare Colombo nella sua piazza? Con un nuovo accordo tra Nazione e Città? Con una sentenza della Corte Suprema? E quali sarebbero i tempi per ottenere l’uno o l’altra? E intanto che facciamo con il monumento? Sospendiamo i lavori di restauro e rimessa in piedi? La scultura, opera del fiorentino Arnaldo Zocchi in marmo di Carrara, non è composta da mattoncini colorati assemblabili come un Lego. Le stesse persone che hanno giustamente gridato allo scandalo quando l’opera è stata smontata, temendo per la sua incolumità, non possono ora pretendere che gli oltre 250 pezzi del monumento restino in quel posto in attesa che vengano ricaricati sui camion e riportati indietro, chissà quando.
Ma ammettiamo per un momento che si possa ottenere una rapida svolta in questa malandata storia e che Colombo torni nella sua piazza, al posto del monumento a Juana Azurduy o accanto ad esso. Resterà comunque chiuso dietro alle cancellate e bisognerà chiedere il consenso dell’inquilino della Casa Rosada per accedervi una volta all’anno, il 12 ottobre. E se fra qualche mese o anno, visti i tempi incerti in cui stiamo vivendo nel mondo, i responsabili della sicurezza della Casa Rosada riterranno più sicuro alzare un muro al posto dell’attuale inferriata? Non sarà più possibile vedere il monumento. E in quel caso cosa faremo? Ci rassegneremo o chiederemo che sia riportato via?
Il capriccio di Cristina, come direbbe Dante, ancor ci offende. Ed è stato un affronto gratuito, un insulto alla memoria di quanti ci hanno preceduto che non sarà cancellato, anche se il monumento ritornasse dietro alla Casa Rosada.
La comunità italiana in Argentina ha una doppia struttura di rappresentanza: quella dei cittadini italiani, i Comites, creata dalla legge italiana e quella delle associazioni, radunate in una federazione, Fediba, nel caso di Buenos Aires. L’operato dai consigli direttivi dei due enti in tutta questa vicenda, è stato recentemente riconfermato secondo le rispettive procedure. Il Comites tramite le elezioni dello scorso mese di aprile col voto diretto, segreto e universale dei cittadini residenti nella Circoscrizione consolare di Buenos Aires. Le due assemblee annuali di FEDIBA dell’anno scorso e di quest’anno hanno approvato l’operato dal Consiglio Direttivo e riconfermato il tavolo di presidenza eletto nel 2013. Il posto dove viene assemblato il monumento (si calcola che ci vorranno cinque mesi) ha tutte le condizioni per diventare un luogo rappresentativo, di incontro e di promozione dell’italianità. Il monumento, una volta rimesso in piedi, riacquisterà una visibilità che non potrà più avere dietro alla Casa Rosada. E inoltre, c’è il progetto del Museo dell’Italianità, per raccogliere e diffondere l’opera degli italiani in Argentina, che sarebbe il complemento ideale del monumento di Zocchi.
Il nuovo governo ha molti problemi di grande portata da risolvere; decidere sul futuro del monumento a Colombo non sembra uno di essi, anche perché è una questione che comunque è stata legalmente e politicamente risolta. Caso mai dovrebbe assicurare che ci siano i fondi per concludere il restauro e la messa in piedi dell’opera. Lasciamo lavorare Mauricio Macri e il suo governo. Insistiamo perché Colombo torni a guardare il fiume dall’alto del suo monumento, e impegniamoci perché in quello stesso posto venga costruito il Museo dell’Italianità. Sarà la migliore risposta a quella signora che togliendo il monumento a Colombo ha solo messo in evidenza la propria ignoranza.
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