E’ allarme per la guerra tra gang di teenager a New York. Secondo i dati della polizia – come riporta il New York Times – gli scontri tra bande di ragazzini per il controllo del territorio sono responsabili del 30% di tutte le sparatorie della Grande Mela. Tutto questo mentre il sindaco Bill de Blasio e il capo della polizia Bill Bratton si vantano del minimo storico di omicidi registrato in citta’.
"I crimini maggiori – avevano detto qualche giorno fa in conferenza stampa – sono scesi del 2% rispetto all’anno scorso, gli omicidi sono calati del 21% mentre le sparatorie del 14%". Ma il fenomeno dei ragazzini violenti preoccupa. Nella maggior parte dei casi la battaglia tra gang resta una cosa ‘interna’, ossia le vittime sono gli stessi ragazzi che si fanno la guerra. Ma ad allarmare e’ anche il numero delle vittime innocenti.
E’ il caso di un padre di famiglia di origini dominicane, colpevole solo di essersi trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato, e di essere stato raggiunto da un proiettile indirizzato ad un ragazzino mentre era a bordo dell’autobus B15 in servizio a Brooklyn. Il suo killer un adolescente di soli 14 anni. Apparentemente un ragazzo come tutti gli altri, che si ‘nutre’ di playstation e ci tiene ad essere alla moda indossando sneaker e abiti sportivi di marca. Di solito le gang trovano terreno fertile nei quartieri piu’ poveri della citta’, dove sorgono palazzoni residenziali che stipano famiglie, e la strada e’ la sola opportunita’ di svago e anche di crescita. E’ la storia delle due citta’ che si ripete e che da una parte vede Manhattan con i suoi lussuosi grattacieli e dall’altra le aree piu’ povere che non offrono futuro per i piu’ giovani. In alcuni quartieri la violenza e’ tangibile con mano e dove anche una stupidaggine, come uno sguardo di troppo verso una ragazza, puo’ avere conseguenze disastrose.
Le bande – scrive il New York Times – non hanno un’organizzazione, regole o una missione, agiscono senza una scopo, a volte solo per sopravvivere. Rimediano le armi o dai vicini oppure acquistandole vendendo telefonini rubati. In tutto questo non aiutano i social media come Facebook che – criticano in molti – amplificano in rete l’eco di questa violenza. Foto o video, ad esempio, di ‘invasioni’ di campo da parte di una gang nei confronti dell’altra, oppure che mostrano le ‘bravate’ o le vittorie di alcuni rispetto ad altri. Post che non fanno altro che aumentare il risentimento e la vendetta.
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