Italiani all’estero, ecco come risparmiare cento milioni l’anno – di Barbara Laurenzi

RomaUn console guadagna più di un parlamentare, esistono ancora ambasciatori pagati per rappresentarci nell’Europa unita e i consolati pagano l’affitto in sedi straniere mentre lo Stato italiano è proprietario di svariati immobili all’estero. Dei quali, ovviamente, non si conosce né il numero, né il valore. Stiamo dando i numeri? No, semmai è l’Italia a dare segni di follia. O meglio, la rete diplomatica italiana. Le recenti decisioni della Farnesina hanno provocato una levata di scudi da parte degli eletti, riportando all’ordine del giorno il dibattito sull’utilità di alcuni servizi di pura rappresentanza, come ad esempio gli ambasciatori in Europa, che continuano a salvarsi dai tagli a discapito della rete consolare dove, invece, vengono forniti servizi utili al cittadino.

Nel coro di opinioni contrarie spicca la voce di Claudio Micheloni, senatore Pd e presidente del Cqie (Comitato per le questioni relative agli italiani all’estero al Senato, ndr) che in questi giorni ha presentato una proposta per un “Riorientamento della rete diplomatica consolare conforme alle indicazioni della commissione per la spending review istituita nel 2012 dal ministro Terzi”. Sommando le ipotesi di contenimenti vari avanzate dal senatore si ottiene un risparmio totale di cento milioni l’anno, divisi tra tagli alle ambasciate, alle spese per il personale inviato dall’Italia nei consolati e a numerosi altri ambiti di intervento.

La proposta di Micheloni è corredata da una serie di tabelle e materiale informativo sui numeri e i costi di ambasciate e consolati. Scopriamo, così, che l’affitto della sede del consolato di Zurigo costa a noi contribuenti circa 500mila euro l’anno nonostante lo Stato italiano sia proprietario, nella stessa città, della Casa d’Italia. Chiunque conosca questo edificio, ossia tutti gli italiani residenti a Zurigo e nei dintorni, sa bene che è una sede abbastanza grande da ospitare comodamente qualsiasi ufficio consolare. 

La parte più interessante è quella dedicata al personale diplomatico e amministrativo. Usiamo l’aggettivo ‘interessante’ perché riteniamo che ai cittadini interessi sapere che, mentre si priva di soldi la scuola, la ricerca e l’assistenza sanitaria, gli stipendi di ambasciatori e consoli rimangono intatti. 

TUTTI I NUMERI Veniamo ai numeri. Il bilancio del Mae è di circa 1,837 miliardi di euro. Di questa somma circa 430 milioni sono impegnati per la voce dei costi dell’Ise, ossia l’Indennizzo di sede all’estero del personale diplomatico, consolare e amministrativo del Mae. In concreto, l’Ise serve a sostenere i costi ulteriori che un console o un ambasciatore è costretto ad affrontare quando si trova in missione all’estero, cioè sempre.

Quando è in sede, a Roma, un console con qualche anno di carriera percepisce più di un parlamentare, mentre un ambasciatore arriva a guadagnare il doppio. Naturalmente, con uno stipendio così limitato, è importante assicurare a questi profili un adeguato sostegno durante la loro permanenza al di fuori dei confini nazionali. Come si fa, altrimenti, a fare la spesa?

Ed ecco che, per far fronte all’evidente rischio di indigenza che li minaccia quotidianamente, consoli e ambasciatori si vedono accreditare oltre allo stipendio anche un’indennità netta da imposte chiamata, appunto, Ise. Per i consoli questa cifra varia da 16mila a 25mila euro mensili, per gli ambasciatori ammonta a circa 40mila al mese. Così funziona per tutto il personale inviato all’estero.

Facendo un paragone con la Francia, lo stipendio degli ambasciatori versato nel loro paese è circa la metà di quello italiano e l’Ise francese, diverso a seconda della sede, va da 6.500 a 25mila euro mensili, ad esempio a Berlino è di 8.500 euro, a Kabul di 25mila euro.

Il tetto per i colleghi italiani, invece, si aggira attorno ai 40mila mensili. Per come li paghiamo, l’Italia dovrebbe essere la maggiore detentrice delle relazioni internazionali mondiali, in pratica dovremmo decidere noi i destini della Terra e dell’umanità tutta.

“In questa situazione una riduzione dell’Ise di solo il 20 per cento produrrebbe un risparmio di circa 80 milioni di euro annui” propone Micheloni. Perché limitarci al 20 per cento, aggiungiamo noi. Non dimentichiamo inoltre che, accanto ai colleghi inviati in terre lontane, esistono ancora i sempre utili ambasciatori impegnati in Europa. Come si fa a non apprezzare questo ruolo così centrale? Come si fa a non comprenderne l’utilità soprattutto oggi che, con la velocità dei trasporti e delle comunicazioni, i ministri degli Esteri europei si incontrano ogni settimana? Pensate, cari lettori, che c’è chi propone di abolire le ambasciate nell’Unione Europa. Che follia, sarebbe come se la California abolisse la sua ambasciata in Colorado. Ah, dite che non c’è?

I dati provengono dalla Farnesina che li ha forniti, se pur con molta reticenza secondo quanto afferma il senatore Micheloni, nel corso dell’indagine conoscitiva aperta dalla commissione Esteri del Senato nella XVI legislatura. Dati ufficiali, quindi, che ci raccontano come, ancora a Zurigo, si preveda la riapertura di una sede Ice nonostante questa sia stata già chiusa ben sedici anni fa e nessuno ne senta la mancanza.

L’annuncio del ritorno dell’Ice a Zurigo sta provocando talmente scalpore da far chiedere a Micheloni: “Quale personaggio di chiara fama bisogna piazzare a Zurigo? Per decisioni così incomprensibili le risorse ci sono?”. Il senatore, inoltre, non esclude “un ricorso al Tar per impugnare le decisioni del Mae prese senza rispettare la legge del Cgie”, la quale prevede che il Consiglio generale degli italiani all’estero esprima parere obbligatorio sulla riforma dei servizi consolari.

I CONSOLATI Già, i consolati. Altro tasto dolente per il quale Micheloni ripropone la vecchia ricetta dell’impiego di personale residente in loco, meno caro rispetto agli attuali dipendenti inviati dall’Italia. Il senatore riporta l’esempio svizzero, ipotizzandone l’applicazione a tutta la rete.

Il piano del Mae realizzerebbe un risparmio annuo di circa 100mila o 150mila euro. La proposta qui presentata produrrebbe a regime un risparmio di almeno 4 milioni di euro l’anno. Questo risparmio proviene principalmente dalla composizione del personale. Attualmente è occupato nella nostra rete svizzera il 34 per cento di personale a contratto e dunque il 66 per cento del personale è di ruolo inviato dall’Italia. Nella proposta il rapporto diventa 65 per cento del personale assunto a contratto e 35 per cento di ruolo inviato da Roma. In questo modo in Svizzera non si chiude nessun ufficio, anzi se ne riaprono tre”.

Al di là della querelle su chi assumere, l’operato dei consolati dovrebbe essere valutato in base all’analisi dell’effettiva produttività. Mentre il consolato di Basilea, con sedici dipendenti tra personale di ruolo e a contratto, vanta 6.849 pratiche evase nel solo 2012, con una media di 428 pratiche a dipendente, quello di Miami, che con quattordici dipendenti può essere paragonato in termini di forza lavoro, ha portato a termine 2.826 pratiche nello stesso anno, con una media di 201 a dipendente. In pratica gli impiegati consolari di Basilea hanno svolto più del doppio del lavoro dei colleghi di Miami, pur essendo quasi pari in numero.

Naturalmente il sovraccarico coinvolge l’intero stato elvetico, vista l’elevata concentrazione di italiani residenti, mentre il ritmo di lavoro non può certo dirsi stressante per i dipendenti del consolato di Washington, dove in un anno sono state portate a compimento appena 615 pratiche. Solo il consolato di Canberra riesce a fare di meno, attestandosi a 386. I dipendenti che se la passano meglio, per così dire, sono quelli del consolato di Boston, uno staff composto da dodici persone dove la media di pratiche svolte per ogni impiegato si ferma a quota 96. A Nizza, che presenta lo stesso numero di dipendenti, ogni impiegato disbriga 350 documenti all’anno mentre ad Hannover arrivano a 366.

Insieme alla Svizzera, anche Francia, Germania e Belgio presentano una mole di lavoro non invidiabile. I venticinque dipendenti di Charleroi si dividono le quasi 8mila pratiche annuali, mentre a Zurigo in trenta arrivano quasi a 14mila documenti. Non va meglio ai colleghi di Stoccarda, dove lavorano 35 dipendenti per più di 17mila pratiche annuali con una media di cinquecento documenti da elaborare per ogni impiegato. Gli Stati Uniti, tra gli ultimi per numero di pratiche evase, schizzano invece ai primi posti se si considera il numero di visti rilasciati: 36.407 solo nel 2012. 

GLI IMMOBILI ITALIANI ALL’ESTERO Oltre alle cifre sugli stipendi degli ambasciatori o sui contratti del personale consolare, per i quali la valutazione rimane sempre e comunque nell’ambito dell’opinione soggettiva, ci sono ben altri numeri che parlano di un vero e proprio spreco. Sono i numeri che mancano, quelli relativi agli immobili all’estero, al demanio e gli affitti.

Non esiste, al momento, una stima del patrimonio immobiliare dello Stato italiano oltre i confini nazionali. In sintesi, l’Italia non sa che cosa possiede all’estero e quanto tutto questo valga economicamente. Come spesso accade in questo paese bello e pazzo, diamo per scontato ciò che possediamo perché, in realtà, nemmeno lo conosciamo. “Il Mae – suggerisce a questo proposito Micheloni – deve fornire dati credibili per permettere interventi legislativi anche nei rapporti con il ministero dell’Economia. Ricordo un’informazione fornita dall’allora sottosegretario Mantica alla commissione Esteri del Senato: ‘Il palazzo Metternick, sede dell’ambasciata italiana a Vienna, di nostra proprietà è tutt’ora valutato 16 lire Oro’. La cosa mi lascia alquanto perplesso”. Anche a noi.