E’ sempre facile criticare, fare demagogia, prendersela con politici e burocrazia, ma poi non dare indicazioni concrete su cosa si potrebbe fare per uscire dalla crisi. Mi permetto di proporre qualche ricetta di cose possibili sulla base della mia piccola esperienza.
La prima riforma che va fatta è quella che riguarda la legge elettorale, altrimenti si rischia un periodico stallo. Basta volerlo, ma passano i mesi e non la si fa. La seconda è che non possiamo applicare le leggi di carattere economico e fiscale in modo identico su tutto il territorio nazionale, soprattutto se poi non vengono osservate, e quindi occorre intanto pubblicare dati (che ci sono ma non si dicono), cominciando da quello delle evasioni e dal numero delle verifiche fiscali fatte (o non fatte) e dai loro esiti su base territoriale. E’ inutile aumentare l’IVA se a Napoli non si emettono 8 scontrini su 10 (dato ufficiale e confermato) e allora vanno anche prese decisioni conseguenti e radicali o un qualsiasi contribuente si sente autorizzato a fare lo stesso: dal recupero dell’evasione potrebbero venire enormi risorse per tutti.
Si chiede semplicemente equità, ma sono decenni che questo non avviene e non cambia mai nulla. Quindi tributi diversi territorialmente, servizi diversi, un fondo di solidarietà necessario, ma poi i territori devono “dare” per quello che “prendono” e viceversa.
In settimana ho assistito a un “Porta a Porta” surreale con i politici (quella sera particolarmente fuori squadra Bersani) che zittivano i tecnici che sottolineavano enormi sprechi pubblici, dalle scrivanie comprate a centinaia per 750 euro quando il prezzo medio è meno di 300 al fatto che meno del 10% degli acquisti di beni delle pubbliche amministrazioni seguono i dettami previsti. Dove sono i dirigenti responsabili che pur prendono stipendi adeguati?
Altra proposta: trasferimenti finanziari ai comuni non su base “storica” ma pro-cittadino o comunque secondo parametri predeterminati e certi. Vi sono differenze di 1 a 5 con comuni che pro-capite prendono 5 volte di più di altri pur dando servizi peggiori: non è giusto, ma chi non è in grado di autogestirsi sia sciolto, cacciato, interdetto dallo spendere. Avanti poi senza paura sulle riduzioni dei politici: dal parlamento (dove si potrebbero risparmiare somme infinite razionalizzando i lavori, ma cambiare la Costituzione sembra impossibile) ai consigli comunali servono meno eletti e quindi si tagli il loro numero, ma contemporaneamente li si responsabilizzi e li si controlli anche nel merito, non si impedisca l’uso del buonsenso spesso solo per questioni di forma, idiota ed inutile! Qualcuno si vuole prendere la responsabilità di decidere ed applicare queste cose? Non sono cose “di destra” o “di sinistra”, ma questioni serie e non più rinviabili.
Quello del tempo che si perde per una burocrazia ottusa è un altro problema di fondo. Sono tornato alla mia professione di dottore commercialista e, per esempio, seguo doverosamente i corsi per i crediti formativi. Ho ritrovato una situazione pazzescamente più complicata di qualche anno fa, toccando con mano una anarchia generale. Quando anche una legge aveva principi logici spesso è rimasta per aria e il Parlamento l’ha poi persa di vista perché per farla approvare è diventata parte di un decreto-legge del governo, poi è stata inglobata di solito in un decreto-omnibus (ovvero con dentro questioni diverse, di tutto e di più) approvato di solito con voto di fiducia e quindi non più nemmeno discusso. Ma i decreti rimandano sempre a loro volta decreti attuativi che di solito poi non vengono neppure fatti e, quando ci sono, sono incomprensibili. Seguono così le “circolari ministeriali interpretative” che aprono ulteriore contenzioso, ma sono l’abc e la bibbia del caos quotidiano. Quindi il diritto non sta più nelle leggi, ma in circolari di un qualsivoglia dirigente pubblico che interpreta la legge a suo giudizio. E questa sarebbe democrazia? Ma siamo matti!? Eppure è la realtà.
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