Sarebbe ancora viva se le fosse stato permesso di abortire. E’ la denuncia del marito di una dentista trentunenne di origine indiana e di religione hindu, morta il 28 ottobre scorso in un ospedale di Galway, in Irlanda, dopo che i medici si sono rifiutati di effettuare un’interruzione di gravidanza alla 17esima settimana perche’, hanno detto ‘questo e’ un paese cattolico’. Sull’accaduto e’ stata aperta un’inchiesta per fare chiarezza, ma la storia colpisce per la drammaticita’ e la durezza dei risultati di una legge sull’aborto, molto restrittiva in Irlanda, e che fa nuovamente discutere.
Savita Halappanavar era al settimo cielo per l’arrivo di quel bambino, il primo. Una gravidanza voluta e cominciata con grande serenita’, ha raccontato oggi all’Irish Times il marito, Praveen Halappanavar, un ingegnere di 34 anni. Tutto bene fino ai primi disturbi, un mal di schiena diventato ora dopo ora piu’ insopportabile. E’ a quel punto che la coppia ha chiamato l’ospedale: la situazione stava peggiorando molto velocemente ed era chiaro che il bambino non sarebbe sopravvissuto. Ma alla richiesta di interrompere la gravidanza, i medici hanno opposto un secco no, perche’ il cuore del feto batteva ancora e quindi era considerato vivo e l’intervento, un aborto, di fatto non e’ consentito dalla legge in Irlanda.
‘Savita stava malissimo. Era molto provata anche emotivamente, perche’ era consapevole che avrebbe perso il bambino’, ha spiegato ancora il marito, raccontando quei tre giorni di agonia che hanno portato alla richiesta di interrompere la gravidanza. E a nulla sono servite la spiegazioni di Savita: ‘Io non sono cattolica e non sono irlandese’, aveva detto. Ma non c’e’ stato nulla da fare. Il cuore del feto ha smesso di battere qualche ora dopo, come era prevedibile, ma a quel punto anche le condizioni di Savita erano compromesse: ancora un giorno di dolore, poi anche il suo cuore ha ceduto. Savita e’ morta per le conseguenze di una setticemia. ‘Sarebbe ancora viva se avessero effettuato l’aborto’, insiste il marito.
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