Ha fatto bene Ricky Filosa, direttore di ItaliaChiamaItalia, a dedicare ampio spazio nel suo giornale alle dichiarazioni del Ministro Kyenge sull’adozione dello ius soli per gli stranieri e sulla prospettata riforma della legge sulla cittadinanza. Soprattutto perchè sono state ben poche le reazioni e i commenti dei parlamentari italiani eletti all’estero su questo tema. Forse c’è chi pensa che lo ius soli interessi solo ai figli di stranieri nati in Italia. Ma in realta’, se la legge sulla cittadinanza verrà modificata, senza dubbio quelle modifiche interesseranno anche la trasmissione della cittadinanza ai figli nati all’estero. Anche gli italiani all’estero devono aprire un dibattito serio sulla cittadinanza, non solo sulla trasmissione della cittadinanza per via materna come prima del 1948, ma anche sullo ius sanguinis e lo ius soli, senza però cadere su stereotipi falsi, quali “immigrati uguale persone che non si lavano” o “bisnipoti di italiani all’estero uguale persone che vogliono il passaporto per viaggiare”.
Lo ius sanguinis e lo ius soli sono due strumenti giuridici che permettono allo Stato di regolare il diritto di cittadinanza di un individuo. Nel primo caso, lo Stato presuppone che la persona figlia di cittadino appartiene alla comunità politica dello Stato. Nel secondo caso lo Stato assume il principio che la persona nata nel proprio territorio appartiene anch’essa alla comunità politica statale. È bene ricordare qui che “cittadinanza” e “nazionalità” non sempre concordano: ci sono i nazionali che non hanno cittadinanza (come gli ebrei prima della nascita dello Stato di Israele) o sono divisi in due cittadinanze diverse (come per i tedeschi fino a qualche anni fa, o per i coreani ancor oggi). Ma esistono anche cittadini di diversa nazionalità come nei casi di storici stati plurinazionali: l’Unione Sovietica (i cittadini sovietici, ma di nazionalità russa o armena, per esempio). Questo solo per citare alcuni esempi che evidenziano la complessità della materia. Che si voglia o no, globalizzazione mediante – ma non solo -, esistono sempre di più Stati definiti “plurinazionali”: la Federazione Russa o la Bolivia, che nelle loro costituzioni si sono riconosciuti stati plurinazionali.
Chi non è cittadino è straniero: non appartiene alla comunità politica statale. Straniero e estraneo hanno la stessa radice lessicale. La persona figlia di italiani per il solo fatto di essere nato all’estero, è straniero? La persona nata in Italia, per il solo fatto di essere figlio di immigrati è straniero? Sono entrambi persone estranee all’Italia?
Ha ragione il direttore Filosa quando dice che la cittadinanza non si regala. Certo, non si regala, ma neanche si acquista a titolo oneroso (al “prezzo dell’integrazione” per esempio), perchè essa non è una merce. La cittadinanza è uno strumento giuridico, mediante il quale lo Stato riconosce l’appartenenza di una persona alla propria comunità politica. Una comunità politica che si basa su relazioni, quali l’appartenenza ad un passato, a un presente o a un destino comune. Adottando solo lo ius soli lo Stato può decretare sì, che sono stranieri i figli di italiani, nati e residenti all’estero, anche se hanno mantenuto un rapporto con l’Italia. Adottando solo lo ius sanguinis lo Stato può decretare sì, che sono stranieri i figli di immigrati, anche se sono nati, educati, residenti e occupati in Italia. Uno Stato che fa così è uno Stato autoritario.
In un mondo in continuo cambiamento, sempre più globalizzato, lo ius sanguinis e lo ius soli non sono nemici, sono complementari. C’è però il pericolo di pensare che il riconoscimento della cittadinanza sia la soluzione a tutti i problemi. Il riconoscimento della cittadinanza è solo l’inizio. Ben lo sappiamo noi cittadini italiani all’estero che nonostante il nostro status di “cittadini” siamo ad anni luce da una vera integrazione alla comunità politica italiana.
Al punto che c’è sempre chi pensa che noi non siamo più italiani, e che pertanto non abbiamo alcun diritto. Impostare la discussione in termini di contrapposizione tra “immigrati in Italia” ed “emigrati all’estero” è idea falsa e negativa. Le problematiche degli immigrati in Italia e dei loro discendenti, come quelle delle emigrati all’estero e dei loro discendenti, non sono problematiche “nemiche”. Tutt’altro, sono complementari. Tutti e due i “mondi” hanno bisogno di una identica politica: una politica di integrazione reale, di raggiungimento degli stessi diritti e doveri.
Nonostante quasi la totalità dei parlamentari eletti all’estero abbiano dato la fiducia a questo governo, non abbiamo nessun italiano all’estero tra i ministri e sottosegretari, segnale che noi italiani all’estero continuiamo ad essere ignorati. Ma che ci sia un ministro dell’Integrazione di origine congolese, in un governo di coalizione tra le principali forze politiche italiane, può essere anche una buona notizia per noi italiani all’estero: se i nostri parlamentari, insieme al Cgie, riusciranno a coinvolgere il Ministro Kyenge nelle nostre problematiche, lei che come noi è un’emigrata, proprio lei potrà diventare un ottimo ulteriore nostro interlocutore nel Governo.
*Consigliere CGIE, MAIE Argentina
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