Pochi si chiedono che cosa contenga davvero il pentolone dell’astensionismo. Nel Pd in particolare prevale la tentazione di sfruttare l’esito delle amministrative come trampolino di lancio di una nuova fase delle larghe intese. Che escono rafforzate dal voto, ma solo perche’ il governo e’ ancora ai primi passi e senza alternative. Pierluigi Bersani interpreta il risultato come una lezione impartita a Beppe Grillo, l’uomo incapace di capire il rapporto tra governo e cambiamento e che ha di fatto impedito la svolta politica del Paese. Difficile non cogliere, insieme al rimprovero, una punta di rammarico.
L’ex segretario tuttavia centra solo un aspetto del problema. In realta’, come ricorda il suo successore Guglielmo Epifani, gli elettori sembrano aver premiato in primo luogo il senso di responsabilita’ dimostrato dal partito in un momento difficile: e’ una base non incline alle avventure nel mezzo della crisi economica piu’ drammatica degli ultimi decenni. Si tratta di un dato importante: smentisce tutte le previsioni dei sondaggi che fotografavano un Pd in difficolta’ per l’alleanza con Berlusconi e un Pdl in crescita grazie all’equilibrio mostrato nel dopo voto.
Che cosa e’ accaduto? Innanzitutto, bisogna sottolineare che le larghe intese sono solo una formula d’emergenza nazionale. A livello locale il Pd si e’ presentato ovunque insieme agli alleati delle politiche (Sel, il centro di Tabacci, liste di sinistra). A Roma, addirittura, un ulteriore spostamento a sinistra (Marino e’ vicino alle posizioni di Rodota’ e di Vendola), ha premiato il partito. I democratici potrebbero avere incassato anche voti di ritorno dal 5 stelle, elettori delusi dall’aggressivita’ grillina che non e’ riuscita a tradursi in fatti concreti. Tutto cio’ non risolve il rebus di un astensionismo diventato il primo partito italiano. Grillo, il grande sconfitto che rischia di rivelarsi una meteora politica simile a quella di Haider in Austria, lo ha capito: infatti cerca di cambiare la sua strategia di comunicazione. Il web era stato il motore del boom e adesso finisce paradossalmente sotto la lente quale causa della scarsa visibilita’ del M5S. Qualcuno pensa addirittura a riconsiderare la Tv e i talk show. Soprattutto la base e’ in rivolta perche’ non capisce come un grande successo si sia potuto trasformare nel giro di due mesi in una vittoria di Pirro.
C’e’ sicuramente un problema di preparazione della classe dirigente M5S (che a ben vedere riguarda un po’ tutti). Ma c’e’ anche la sterilita’ di un pacchetto di voti che si e’ autocongelato senza risultati (basti pensare alla battaglia del Quirinale). Il leader genovese tuona contro i cittadini che votano Pd e Pdl e condannano il Paese al declino, ma anche in questa occasione non fornisce alternative ne’ spiegazioni convincenti all’emorragia di voti.
Eppure una strada l’avrebbe: quella di tornare in gioco con il Pd, ponendosi quale alternativa al centrodestra. L’equilibrio sul quale si regge il governo e’ infatti assai fragile: basti pensare al mini-compromesso raggiunto sulla mozione parlamentare che dovrebbe avviare il percorso delle riforme e al braccio di ferro in corso sulla legge elettorale. La trama del governo Letta e’ eterea e non c’e’ nessuna garanzia che l’ordito regga i 18 mesi necessari per varare la riforma dello Stato. Soprattutto perche’ da destra continuano le manovre (‘provocazioni’ le definiscono i democratici) sul terreno della giustizia: la proposta di legge Palma contro i pm politicizzati, subito battezzata salva-Berlusconi, e’ stata accolta da una levata di scudi del Pd e segnala la grande distanza che continua a dividere i due soci di maggioranza dell’esecutivo.
Per ora la situazione e’ sotto controllo: infatti anche i berlusconiani sono divisi tra di loro. Giancarlo Galan critica l’ordine di scuderia di minimizzare la sconfitta elettorale: dice che cosi’ non va. Perche’? Semplice, perche’ senza il Cavaliere in campo la classe dirigente del Pdl appare fragile e non carismatica. Il fallimento della fusione con la destra non e’ stato ancora assorbito e si capisce che una sconfitta al ballottaggio di Roma avra’ un costo nei rapporti di forza delle larghe intese. Tutto cio’ significa una cosa sola: nuove scosse nella lotta per il controllo del grande serbatoio di voti costituito dagli astensionisti.
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