Non è la prima volta che il doodle di Google si anima dando vita a celebrazioni di eventi o personaggi diventati famosi nel corso della storia. Oggi, 23 novembre, la cosa riguarda il 60° anniversario dalla prima pubblicazione del medico, filosofo e scrittore polacco Stanislaw Lem, la Cyberiade: una delle più grandi raccolte di racconti fantascientifici di tutti i tempi. Stavolta Il logo ruberà agli utenti del motore di ricerca almeno 5 minuti, per tentare di risolvere un giochino di tre livelli nel mondo fantascientifico di Cyberiade, che racconta, in maniera giocosa, tante piccole storie con protagonisti Trurl e Klapaucius, due robot costruttori. Lo stesso anno di Cyberiade, Lem pubblicò il celeberrimo Solaris, da cui è stato tratto il famoso film di Tarkovskij, reclamizzato come “la risposta europea” a “2001 Odissea nello spazio” di Kubrick. In tempi più recenti (1998), Steven Soderbergh ne ha fatto un remake, divergendo dal film del grande russo, puntando su un empatico Clooney e costruendo un finale nettamente divergente dal precedente film (con qualche accenno anche a Blade Runner), per puntare l’attenzione sul rapporto di coppia più che sulle ossessioni del collettivo di astronauti, forse con maggiore attinenza al romanzo del polacco.
Solaris, infatti, non è un semplice corpo celeste. La sua vera natura è un enigma. Coperto da un oceano in costante trasformazione, descritto da Lem con accenti poetici e visionari, Solaris è una creatura vivente. Immensa, ignota, certamente incomprensibile, ma viva. Sarà con il suo disperato tentativo di mettersi in contatto con l’umanità che gli abitanti della stazione orbitante dovranno fare i conti: il protagonista, Kris Kelvin; e poi Snaut e Sartorius, i suoi due colleghi; con alle spalle il suicidio del dottor Gibarian, presenza che aleggia sopra tutta la vicenda, dando a Kelvin la traccia da seguire per tentare di venire a capo del mistero di Solaris. Ma si tratterà di un tentativo destinato a fallire. Tutta la storia, infatti, nasce con un evento misterioso – l’apparizione di visitatori, concretizzazione reale dei desideri e della memoria degli abitanti della base – e termina altrettanto misteriosamente, senza nessuna risposta plausibile. Solaris è in effetti, come il più celebre film 2001 – A space Odyssey di S. Kubrick, una rappresentazione fantascientifica del mistero che permane al fondo della vita umana. Se nel film di Kubrick il mistero sembra prendere le tinte religiose dell’incontro con una realtà trascendente, ai limiti dell’universo, nel libro di Lem il mistero è diverso: è l’incontro con un’intelligenza altra, smisurata, rispetto a quella umana; ma è anche il mistero della nostra finitezza, degli affetti che svaniscono rubati dalla morte, del nostro desiderio eterno di ritrovare coloro che abbiamo perduto.
Chi abbia visto il film di Andrej Tarkovskij non potrà certo dimenticare le note del Preludio alla corale in fa minore di Bach, sintetizzate con un apparecchio a quel tempo avveniristico realizzato dall’Accademia russa delle scienze. Quelle note, malinconiche come ogni brano del libro, si adattano perfettamente al ritmo di una storia in cui si riverbera il segreto comune di ogni arte e di ogni espressione umana: parlare a chi sembra non ascoltarci, sia esso un altro uomo, Dio o semplicemente il silenzio infinito dell’Universo. La visione finale del libro di Lem, con Kelvin che ormai ha perso definitivamente Harey e che guarda l’oceano di Solaris compiere le sue evoluzioni metamorfiche e incomprensibili, ci riconsegna a quel silenzio dentro il quale la nostra voce sembra perdersi e dal quale aspettiamo sempre, incessantemente, l’arrivo di una voce comprensibile. E tutto questo nel film di Soderbergh è chiaramente presente. Vi è infatti, in tutta la produzione di Lem, un costante contenuto filosofico, una acuta riflessione sulla "missione" dell’uomo come singolo e come parte della società, con accenni alla scienza, alla politica e alla religione, in un contesto spesso fiabesco e perciò ancora più affascinante. I personaggi nati dalla sua penna sono spesso stati impiegati come pretesto per offrire al lettore spunti di riflessioni su temi quali la società e le sue contraddizioni, fino ad arrivare a toccare alcune argomentazioni proprie del dibattito politico. Ma, al certo del suo lavoro, vi è comunque sempre il rapporto dell’uomo con se stesso, l’introspezione, la capacità di confrontarsi con il proprio io prima che con gli altri.
Nato nel ’21 e morto 5 anni fa, Lem, come scrittore, travolge le regole di genere. Pochissima azione, nessuna suspense, nessuna ardita teoria, nessuna soluzione degli enigmi da cui muove la storia ed una messa in scena della fiera delle vanità del mondo scientifico. L’ultima opera di Lem pubblicata in Italia pochi giorni fa da Bompiani è “La voce del padrone”, in cui uno scienziato compila un quaderno di memorie sulla sua esperienza nell’ambito del progetto segreto americano denominato, appunto, “La Voce del Padrone” e teso a decifrare un misterioso messaggio. Un pool di studiosi, nascosti nel deserto del Nevada, cerca di ricavare sviluppi militari dalle informazioni contenute nella “lettera stellare”, che è un flusso di neutrini ricevuto “ascoltando” la costellazione del Cane Minore. “Il compito della Voce del Padrone – spiega lo scienziato – è quello di studiare sotto tutti gli aspetti e di cercare di tradurre la cosiddetta ‘notizia venuta dalle stelle’ la quale, secondo ogni probabilità, consiste in una serie di segnali inviati intenzionalmente, per mezzo di installazioni tecniche artificiali, da una o più creature appartenenti a una non meglio definita civiltà extraterrestre”. Anche in questo caso Lem si dimostra grande, particolare, eterodosso ed ineguagliabile, poiché, mentre gli autori di favole pseudoscientifiche si limitano a dare al pubblico quello che vuole: ovvietà, cliché, stereotipi camuffati e resi sufficientemente bizzarri perché i destinatari possano abbandonarsi a una suspense priva di rischi senza per questo vedere sconvolta la propria filosofia esistenziale; lui si muove in tutt’altra direzione e con una straordinaria brillantezza intellettuale. Lem, come anche Philip Dick, ha consentito alla fantascienza di analizzare e rendere esplicita la visione del doppio (cioè manifestare il dubbio presente nella certezza), di spiegare la causa attraverso la narrazione dell’effetto, facendo di questo genere letterario un veicolo formidabile per concepire la grandezza e la miseria dell’uomo, le sue speranze e le sue paure. Forse, mai come adesso, e grazie ad autori come Lem, la science fiction può indicare una strada, una direzione all’essere umano in questo difficile transito temporale di millennio. Allo stato attuale, la science fiction cela in sé l’immagine di colui che vigila e osserva, una presenza che ci segue silenziosamente, immersi in quella che noi crediamo si chiami "realtà”.
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