Nato il 18 gennaio del 1950, nella provincia canadese del Quebec, Gilles Villeneuve è oggi considerato uno dei più amati piloti della storia del cavallino rampante. La casa di Maranello lo porta ancora nel cuore così come sconfinata l’adorazione che nutriva per lui il suo “patron”, il “vecchio”; il grande Enzo Ferrari. Dalle motoslitte alla Formula 1, un ragazzo precoce che riesce con il suo carattere mite ed amorevole a conquistare tutti. Franco Gozzi, ex dirigente, sosteneva: “il giovane nord americano era per Ferrari come un figlio”. Forse gli ricordava nostalgicamente il suo Dino, perduto prematuramente.
Spericolato ma socievole, folle ma ben presto amato dal pubblico e dal suo stesso staff. Trombettista dilettante, consegue il brevetto di elicottero e dà tutto se stesso per la sua bellissima “rossa” numero 27. Un uomo che ha dato prova – più di ogni altro – di quanto non sia sempre necessario vincere per rimanere nell’immaginario collettivo. Si può diventare campioni anche senza podio, senza medaglie e senza trionfalismi, ma solo per il modo straordinario di essere e soprattutto di regalare emozioni.
Questo è quanto ci ha dimostrato colui che è diventato il vanto del Canada (che gli intitola perfino il circuito di Montreal) e soprattutto l’orgoglio italiano nei primi e “magnifici” anni Ottanta. Villeneuve muore a soli 32 anni in Belgio, sul circuito di Zolder, l’8 maggio 1982. Le sue gesta, il suo sorriso, le sue strepitose perfomance lo rendono – ancora oggi – dopo oltre trent’anni praticamente indimenticabile. Tra lui e la morte la frenesia di un giro veloce, gomme lisce e la March di Jochen Mass. Decolla, si schianta al suolo, e termina la carriera nel peggiore dei modi.
Quel maledetto giorno, non ci lasciava soltanto un pilota Ferrari, uno sportivo d’altri tempi e un’eccezionale “enfant prodige”, ma colui che stava facendo sognare milioni di appassionati e nel periodo (forse) più bello della nostra Penisola.
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