Secondo l’IPCC, oltre il 40% della popolazione mondiale (tra i 3,3 e i 3,6 miliardi di persone) vive in contesti di “estrema vulnerabilità ai cambiamenti climatici”, individuando ben 127 rischi che riguardano gli insediamenti, le infrastrutture, l’economia, le strutture sociali e culturali, la sicurezza idrica e alimentare, la salute e il benessere degli individui, gli sfollamenti e le migrazioni.
Tra le macroregioni più a rischio l’Africa occidentale, centrale e orientale, l’Asia meridionale, l’America centrale e meridionale, i piccoli stati insulari in via di sviluppo e l’Artico: in queste aree, tra il 2010 e il 2020 la mortalità umana a causa di eventi estremi come inondazioni, tempeste e siccità è stata 15 volte superiore rispetto alle regioni che presentano una minore vulnerabilità. Non solo.
Secondo il rapporto “Groundswell” della World Bank, a causa della crisi climatica, entro il 2050, 216 milioni di persone in sei diverse regioni del mondo potrebbero essere costrette a spostarsi all’interno dei loro paesi. Un’azione immediata e concertata per ridurre le emissioni globali e sostenere uno sviluppo sostenibile, inclusivo e resiliente – in linea con l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici – potrebbe ridurre la portata della migrazione climatica fino all’80%, riducendo la portata degli sfollamenti a circa 44 milioni di persone.
Sono alcuni dei dati riportati nel dossier di Legambiente “Migranti ambientali, gli impatti della crisi climatica” presentato dall’associazione alla vigilia della Giornata nazionale della Memoria e dell’Accoglienza del 3 ottobre, istituita nel 2006 per ricordare e commemorare tutte le vittime dell’immigrazione e promuovere iniziative di sensibilizzazione e solidarietà.
L’emergenza climatica si somma ad altri fattori che costringono le persone a lasciare le loro terre.
Nel mondo, a fine 2021, – come riporta l’ultimo rapporto statistico annuale dell’UNHCR, “Global Trends” – sono 89 milioni e 300 mila le persone che sono state costrette ad abbandonare le proprie case in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e altre motivazioni. Un dato estremamente alto, – osserva Legambiente – mai registrato prima dall’Agenzia delle Nazioni Unite, che segna un incremento dell’8% rispetto all’anno precedente e che è raddoppiato nell’arco di 10 anni. Di questi ben l’83% è stato accolto in Paesi a reddito basso o medio, per la maggior parte confinanti quelli di emigrazione (il 72%).