C’è un’Italia che chiede di liberare Alberto Trentini, il cooperante italiano arrestato in Venezuela più di cento giorni fa e del quale non c’è alcuna notizia.
Sono state raccolte, per questo, oltre 75mila firme, senza contare le centinaia di selfie scattati per testimoniare la propria vicinanza alla causa.
I primi striscioni che spuntano sui balconi dei palazzi dei municipi e sulle facciate delle case dal Veneto alla Sicilia.
Un mese fa il governo di Caracas ha offerto la prova che Trentini è vivo e in discrete condizioni, ma nulla più.
Non è stata organizzata la visita consolare che in qualche maniera era stata promessa. Non è stata data la possibilità a Trentini di telefonare a casa.
Sua madre, Armanda, che vive a Venezia, ha scritto due lettere: una direttamente alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e un’altra al quotidiano Repubblica chiedendo che il governo faccia tutto quello che è nelle sue possibilità per far tornare a casa Alberto.
I 75 mila firmatari dell’appello chiedono “alle istituzioni italiane, europee e alle Nazioni Unite il massimo impegno e di agire con urgenza per ottenere il rilascio immediato e la piena tutela dei diritti fondamentali di Alberto”, che gli venga assicurata un’assistenza consolare, legale e medica e che ci siano contatti consentiti con i familiari.
“Ribadiamo con forza il principio fondamentale della protezione degli operatori umanitari ovunque nel mondo” si legge nell’appello.