I toni del Pdl, dopo la decisione della Giunta di chiedere l’espulsione di Silvio Berlusconi dal Senato, sono durissimi nella forma, ma non distruttivi come si sarebbe potuto immaginare solo pochi giorni fa. Tutto il centrodestra, con il Cavaliere in testa, parla di una sentenza politica, di un voto che colpisce al cuore la democrazia, ma si intuisce che il vero scontro e’ ormai in atto in altra direzione, all’interno del partito (ex) berlusconiano. Si da’ per scontato che l’aula di palazzo Madama non potra’ che confermare il verdetto della Giunta, anche se si votera’ a scrutinio segreto: e dunque la decadenza di Berlusconi dalla carica di senatore e’ ormai un dato inevitabile. Il suo stesso ruolo di leader del partito sara’ tutto da verificare (e forse da inventare) a cominciare dalla scelta tra arresti domiciliari e affidamento ai servizi sociali.
L’ultimo, disperato tentativo del Cavaliere e’ – come fanno sapere i fedelissimi – di tenere unito il Pdl. Forse lo stesso futuro di Forza Italia, che rischia di trasformarsi in una bad company in cui relegare i ”falchi”, a questo punto e’ da verificare: lo lascia intendere Fabrizio Cicchitto (tra i candidati a sostituire Renato Brunetta alla guida del gruppo della Camera) quando sottolinea che il problema e’ di ”defalchizzare” il Pdl, non di ”deberlusconizzarlo”. Potrebbero sembrare un bizantinismo da prima Repubblica. Ma non e’ proprio cosi’: circoscrivere, se non addirittura annullare, il peso dell’ala piu’ estrema del Pdl significa garantire il patto che Angelino Alfano ha stretto con Enrico Letta all’atto della fiducia al governo; cancellare invece il ruolo di Berlusconi suonerebbe come un rinnegamento della storia del moderatismo italiano degli ultimi anni, un tradimento che – come dicono i sondaggi – sarebbe punito dall’elettorato di centrodestra. E certo il vicepremier, che in questi due giorni si e’ dovuto concentrare ovviamente piu’ sulla tragedia di Lampedusa e sui problemi dell’immigrazione che sulle beghe interne, non intende offrire ai suoi nemici la comoda carta di paragonarlo al Badoglio del centrodestra.
Cio’ non significa che Alfano abbia fatto un passo indietro. Si capisce che la decadenza di Berlusconi e l’attuazione della condanna costituisce un passaggio drammatico per tutto il partito. Ma in un certo senso gli oltranzisti di cui chiede l’emarginazione (Verdini, Bondi, Santanche’, Brunetta) spingendo il Paese sull’orlo del baratro della crisi economica lo hanno messo nella posizione ideale per invocare la svolta moderata.
Adesso il braccio di ferro tra l’anziano capo e il suo delfino si gioca sugli assetti futuri del Pdl e di Fi: Alfano, forte di circa meta’ dei parlamentari, chiede che la svolta registrata con la fiducia sia assicurata dai fatti perche’ si tratta di attuare subito una serie di provvedimenti concreti, a cominciare dalla legge di stabilita’. E dunque spinge per l’emarginazione dalla linea di comando di dirigenti ormai incompatibili con la sua strategia politica.
Una partita complessa che coinvolge il futuro dei centristi. L’Udc di Casini cerca di tornare in gioco proponendo l’unita’ di tutte le forze che si ispirano al popolarismo europeo ma su questa prospettiva non e’ d’accordo Mario Monti, diffidente e deciso a recuperare consensi nell’area degli elettori del Pdl. Quanto ai democratici, il percorso non e’ meno tortuoso. Il primo problema del Pd e’ infatti quello di far digerire al suo elettorato la scelta delle larghe intese che restano pur sempre alla base del governo del presidente. L’orizzonte temporale del governo, spiega Guglielmo Epifani, resta quello dei 18 mesi e comprende anche le riforme istituzionali. Cio’ equivale per Matteo Renzi alla fine del sogno di lottare per la premiership: per ora il suo obiettivo dovra’ restare la segreteria, con la prospettiva di incrociare solo in futuro la lama con Letta per la guida dell’esecutivo. E se questo governo di garanzia voluto dal capo dello Stato dovesse rivelarsi un successo, per il sindaco rottamatore l’avversario Letta potrebbe rivelarsi molto piu’ insidioso del previsto.
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