Gli affari per il clan mafioso guidato da Massimo Carminati ebbero un "salto di qualita’" in concomitanza dell’elezione a sindaco di Roma di Gianni Alemanno. Un gruppo criminale che gia’ da tempo operava grazie ad una "fama" acquisita negli anni e che veniva utilizzata come strumento di potere intimidatorio. E’ questo il quadro che i giudici del Riesame di Roma delineano per Mafia Capitale nelle 87 pagine di motivazioni alla decisione di respingere le istanze di scarcerazione presentate da un gruppo di indagati tra cui lo stesso ex terrorista dei Nar. C’e’ quindi un anno, quello del 2008, in cui il clan riesce ad "espandere" le sue attivita’ criminali nei settori economici della Capitale e della pubblica amministrazione. Da quel momento "molti soggetti collegati a Carminati da una comune militanza politica nella destra sociale ed eversiva e anche, in alcuni casi, da rapporti di amicizia, hanno assunto importanti responsabilita’ di governo e amministrative nella capitale".
Di fatto l’organizzazione allungava i suoi tentacoli nell’amministrazione capitolina grazie anche all’apporto di una serie di imprenditori al soldo del clan e legati in modo totale a Carminati. Quest’ultimo, scrivono i giudici, e’ il "fulcro del sistema di tipo mafioso", un "personaggio pericoloso" e "vero e proprio ‘Mito’", come descritto dal collaboratore di giustizia Roberto Grilli. Notorieta’ sfociata nella "nomea di intoccabile e di personaggio in grado di uscire indenne da ogni situazione in ragione di oscuri collegamenti con centri di potere ai massimi livelli".
Un potere riconosciuto anche dalle altre grandi organizzazioni criminali. La ‘ndrangheta, ad esempio, vedeva nella Mafia Capitale una "organizzazione della medesima dignita’" al punto che "vi e’ prova che Mafia Capitale ha avuto rapporti d’affari con l’organizzazione mafiosa calabrese e che le due compagini hanno interagito tra loro dimostrando rispetto reciproco".
A tal proposito i giudici citano i "rapporti del gruppo di Carminati con il clan dei fratelli Senese, con Ernesto Diotallevi, noto esponente della Banda della Magliana e tramite del sodalizio con la mafia siciliana di Pippo Calo’, con il clan Casamonica, con l’organizzazione facente capo ai fratelli Esposito e con quel particolare ed inquietante – scrivono i giudici – personaggio che e’ Giovanni Di Carlo che intrattiene rapporti con i maggiori esponenti della criminalita’ organizzata romana". Il gruppo aveva "sostanzialmente il monopolio dell’acquisizione degli appalti dei servizi del Comune" che si consumava in un clima di omerta’ al punto che"nessuno (in sede politica o con denunce penali) ha mai osato denunciare il sistema di chiaro stampo mafioso vigente". Insomma, un gruppo che si muoveva e agiva proprio come un’associazione mafiosa.
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