"Con il fermo dello scafista, convalidato dal Gip, la nostra inchiesta sul naufragio del 3 ottobre, in collaborazione con la DDA di Palermo, al quale va ascritta la competenza per i fenomeni di tratta di esseri umani, va avanti. Ora si cerca di individuare se esistano altri soggetti che avrebbero collaborato nella vicenda che ha poi portato al naufragio". Così Renato Di Natale, procuratore capo di Agrigento, a "Prima di tutto" su Radio 1. E aggiunge: "Sappiamo che in Libia operava una vera e a propria organizzazione che reclutava persone per fare questi tour con delle carrette per mare, previo pagamento di grosse cifre. Si calcola che, mediamente, ogni migrante paga per questo trasporto dai 1500 ai 2000 dollari; se invece si proviene da terre più lontane, si arriva a pagare anche 3000 dollari. Un vero e proprio racket di esseri umani, in Libia questo esiste, ci è stato riferito dai sopravvissuti. Il problema però è che questa ipotesi di reato può essere perseguita in Libia ma non in Italia”.
“Ulteriore problema, verificare ci siano collegamenti tra quelle persone che operano in Libia e altre che invece si trovano nel nostro territorio. Allo stato, non esistono elementi per ritenere che esistano basisti di questo racket presenti a Lampedusa, ma naturalmente l’indagine va avanti e non posso escludere prove contrarie". E conclude: "Siamo abituati a questo genere di vicende, proprio qualche giorno c’è stata una condanna per fatti avvenuti nel 2011, in cui i migranti morirono per asfissia, stipati com’erano dentro la stiva di una nave. Purtroppo non è una novità. Quello che colpisce, che sconvolge sono le proporzioni di questi drammi, la morte dei bambini, la vicenda di queste persone che sfidano la morte pur di sfuggire a una realtà evidentemente molto triste".
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