Da quel portone non e’ uscito un solo politico ad ascoltare le loro ragioni e contro quel portone si e’ scagliata tutta l’ira degli operai: ‘solo rubare, sapete solo rubare’. Mentre a palazzo Chigi si decide il destino dell’acciaio italiano, in piazza Montecitorio quelli che dall’Ilva dipendono per pagare il mutuo e mantenere le famiglie urlano tutta la loro disperazione e rabbia contro i ‘parassiti’ della politica che ‘ci stanno rubando il futuro’. La manifestazione organizzata a Roma dai lavoratori dell’acciaio, pur monca della presenza degli operai tarantini rimasti in citta’ dopo il tornado che ha spazzato lo stabilimento portandosi via uno di loro, ha chiarito ulteriormente – semmai ce ne fosse ancora bisogno – che il governo ha di fronte un problema sociale enorme, che non puo’ essere certo risolto per decreto. O soltanto con un decreto. Perche’ il problema e’ proprio questo: gli operai non chiedono di continuare a lavorare in un’azienda che inquina e uccide. Chiedono di avere un lavoro ma anche una speranza, un futuro. Lo chiedono a Roma come a Genova, a Taranto come a Novi Ligure: e non sono disposti piu’ ad avere solo promesse. Lo dimostrano le tensioni registrate a Genova, dove 500 operai hanno bloccato le strade attorno alla prefettura e alla fine c’e’ stato qualche tafferuglio con le forze dell’ordine.
Oggi e’ andata bene e solo uno di loro e’ finito in ospedale, ma gia’ domani e’ annunciata un’altra assemblea: ‘e probabilmente usciremo di nuovo’, annuncia Bruno Manganaro della Fiom.’Forse la gente non capisce – aggiunge – che la paura di perdere il posto di lavoro e’ tanta’. ‘Io volevo fare il secondo figlio – conferma uno dei ragazzi che da Genova e’ venuto a Roma – ma in queste condizioni mi fanno passare la voglia’. ‘Io – gli risponde un altro – non sono neanche sposato. Ma come fai a farlo? Come fai a fare i figli? Se mi tolgono il lavoro non ho piu’ nulla, cosa faccio? Io non ci sto qui senza lavoro, piuttosto me ne vado in un altro paese a fare il barbone’. A Roma sono arrivati in 300, quasi tutti dalla Liguria e dal Piemonte: Genova, Novi Ligure, Racconigi. Oltre ad una piccola delegazione di Taranto.
Caschetti gialli in testa, tuta da lavoro, gli operai hanno tentato di arrivare davanti a palazzo Chigi ma sono stati bloccati e dopo qualche momento di tensione, soprattutto con i giornalisti, hanno raggiunto piazza Montecitorio. Dove, per quattro ore, hanno urlato contro i politici ‘ladri’, i parlamentari ‘parassiti’ e ‘assassini’. Insultato Monti e la Fornero; i Riva, i padroni oggi agli arresti. ‘Siete la rovina dell’Italia – hanno gridato sotto la pioggia battente – il lavoro non si tocca’. ‘Guardateci, siamo tutti a volto scoperto, non abbiamo nulla da vergognarci, siete voi che dovete vergognarvi, ladri’.
Dal Palazzo, non un politico e’ uscito per affrontarli. Per ascoltare la loro disperazione. Solo il segretario della Fiom, Maurizio Landini, ha lasciato per qualche attimo il vertice a palazzo Chigi per spiegare loro cosa stava accadendo dentro. ‘Io non guardo soltanto a me – dice Luca, 27 anni di cui gli ultimi sette all’Ilva di Genova – guardo anche la salute di quei poveri cittadini che respirano smog tutti i giorni. Lavoro, salute e ambiente devono coesistere, non possono essere in contrasto’.
Lo sanno bene quelli di Taranto, che oggi sono rimasti in fabbrica anche per partecipare alle ricerche del loro collega disperso. ‘Ben venga il decreto. Ma sia chiaro – avverte l’operaio Biagio Prisciano – che non vogliamo un provvedimento che dia all’Ilva la possibilita’ di produrre e provochi morte e rabbia’. Gia’, la morte. ‘Sono stanco – sono le parole di Mimmo – sono stanco di andare al lavoro e sapere che provoco la mia morte, quella della mia famiglia e dei cittadini. Qui ci vuole un decreto non per salvare l’Ilva ma per salvare Taranto’.
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