La sua morte e’ diventata sinonimo dei tanti diritti negati, di quelle violenze assurde consumate nel silenzio. Fra due giorni, il 5 giugno, si avra’ la verita’ giudiziaria sulla fine di Stefano Cucchi, il geometra romano arrestato il 15 ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo all’ospedale ‘Sandro Pertini’. Ancora due giorni e conosceranno la propria sorte i 12 accusati di avere responsabilita’ in quella morte: i medici Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti e Flaminia Bruno, gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe, e gli agenti della polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici.
In aula, accanto alla famiglia Cucchi e soprattutto alla sorella di Stefano, Ilaria, che ha combattuto una dura battaglia dolorosa e personale, ci sara’ chi sulla sua pelle ha vissuto un’esperienza simile. Lucia Uva, sorella di Giuseppe, morto nel giugno del 2008 all’ospedale di Varese dopo essere stato fermato dai carabinieri, Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi morto a 18 anni nel 2005 durante un controllo di polizia, e Domenica Ferrulli, figlia di Michele, morto a 51 anni il 30 giugno 2011 a Milano per arresto cardiaco mentre quattro agenti lo stavano arrestando. Per la morte di Stefano Cucchi 12 persone sono alla sbarra: sei medici, tre infermieri e tre agenti penitenziari a vario titolo e a seconda delle posizioni, accusati di abbandono di incapace, abuso d’ufficio, favoreggiamento, falsita’ ideologica, lesioni ed abuso di autorita’. Accuse gravi che corrispondono a una tesi accusatoria terribile: per i pm, infatti, Stefano Cucchi fu ‘pestato’ nelle camere di sicurezza del tribunale capitolino dove si trovava in attesa dell’udienza di convalida. In ospedale poi furono ignorate le sue richieste di avere farmaci e fu abbandonato e lasciato morire di fame e sete.
Un processo lunghissimo, quello che ha sviscerato nei minimi particolari questa ‘storia’. Dopo il rinvio a giudizio disposto nel gennaio del 2011, l’inizio il successivo 24 marzo davanti alla III Corte d’assise di Roma, presieduta da Evelina Canale con giudice a latere Paolo Colella. E poi, ben 45 udienze, 120 testimoni sentiti, decine di consulenti tecnici nominati da accusa, parti civili, difesa, e finanche’ una maxi-perizia disposta dalla stessa Corte. Su tutte le ‘gravi’ richieste di condanna: 6 anni e 8 mesi per il primario dell’ospedale ‘Sandro Pertini’ e pene simili per gli altri medici (tutte comprese tra i 6 anni e i cinque anni e mezzo, con l’eccezione di una richiesta di condanna a 2 anni); fino ai 4 anni anni di carcere chiesti per gli infermieri; fino ai 2 anni di reclusione per i ‘penitenziari’. Un processo che ha fatto registrare tesi diverse e interpretazioni diametralmente opposte. All’ipotesi accusatoria, si e’ aggiunta quella delle parti civili che hanno fatto derivare da una ‘cascata’ di eventi partiti dal ‘pestaggio’ le cause che portarono alla morte Stefano; fino alle ipotesi difensive, con le quali si e’ cercato di ricondurre in maniera diversa i fatti, non parlando di pestaggio e sottolineando l’impossibilita’ di contestare il gravissimo reato di abbandono. E alla fine, la tesi dei periti nominati dalla Corte, secondo i quali Stefano mori’ per ‘inanizione’, ovvero per malnutrizione, riconducendo molte delle accuse in una colpa medica.
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