Parliamone francamente. E queste parole non vogliono essere una provocazione, bensì semplici osservazioni, se non proprio un invito a riflettere sull’opportunità di contribuire a fare chiarezza ed un po’ di ordine nella giungla dei diritti e dei doveri legati alla condizione di emigranti.
Per chi e’ all’estero da anni e non desidera ritornare in Italia se non per ferie e interessi affettivi e/o culturali, visto che il contesto in cui vive da decenni lo assorbe nel presente e lo proietta nel futuro, l’Italia resta ovviamente la Patria d’origine e di riferimento sentimentale per tutta la durata della vita. Ma essa non rappresenta, in modo evidente, il mondo dei suoi interessi effettivi e sostanziali.
Conservare il diritto alla cittadinanza, che scaturisce dai natali e dalle origini, mi sembra una cosa ovvia e sacrosanta. Di converso, non mi sembra giusto rivendicare il diritto di “ingerenza”, come potrebbe essere percepito il voto politico, in un contesto societario, sebbene di provenienza, in cui non si vive attivamente e di cui da anni non si conosce neanche, se non per forzata immedesimazione, la realtà effettiva.
Resta da chiedersi, quindi, che valenza debba e possa avere il diritto al voto degli italiani all’estero, soprattutto di coloro che vivono, per scelta o malgrado, fuori dalla comunità di provenienza da vari decenni.
Penso quindi che da parte di tutti gli italiani all’estero che vivono questa condizione sia necessario ed opportuno porsi la seguente domanda. E’ giusto rivendicare sul piano etico e politico il diritto al voto dopo decenni di vita vissuta fuori dal territorio nazionale e dopo che l’unico elemento relazionale con la propria nazione di provenienza sia costituito dal solo possesso della nazionalità?
Non sarebbe piu’ giusto regolamentare il diritto al voto degli italiani all’estero in base ad una limitazione temporale che stabilisca che dopo un lasso di tempo esso venga ad essere messo in stand by, fermo restando che si possa esercitarlo nuovamente solo a seguito di un rientro definitivo sul territorio nazionale?
Mi rendo conto che una tal cosa potrebbe essere invisa a coloro che basano la loro forza politica sull’aspetto numerico, ma d’altro canto non e’ neanche giusto appropriarsi della titolarità di diritti ritenuti perpetui quando il tempo e le vicissitudini della vita hanno fatto sì che essi si alienassero naturalmente.
D’altro canto l’Italia dovrebbe dimostrare l’attaccamento ai suoi cittadini residenti all’estero indipendentemente dall’espressione del voto che gli stessi possano esprimere a favore di questo o quel partito, di questo o quel governo; indipendentemente dal fatto che i titolari del diritto di voto possano essere due, tre, quattro o cinque milioni.
L’Italia, i suoi governi, le sue forze politiche e sociali, dovrebbero rivolgere la sua effettiva attenzione, con la stessa intensità, senza distinzione di sorta, entro e fuori i confini nazionali, a tutti i suoi cittadini, indipendentemente dalla loro condizione sociale e politica.
Vorrei continuare ad essere rispettato come cittadino italiano residente all’estero indipendentemente dal voto che potrei esprimere a favore dei miei presunti rappresentanti eletti all’estero. Mi sentirei più cautelato e meno condizionato.
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