Il primo film, ispirato al racconto “We Can Remember It For You Wholesale" di Philip K. Dick, con Arnold Schwarzenegger e, in un ruolo minimo ma non tale da passare inosservata, Sharon Stone, è del 1990. Fu un successo, una delle prove più riuscite del visionario Paul Verhoeven, per il quale si era pensato ad un sequel basato su un altro racconto di Dick, Rapporto di minoranza, che però non è stato mai fatto, per divenire, invece, la base di “Minority Report” di Spielberg, con Tom Cruise, Colin Farrell e Samantha Morton.
Ora è proprio Colin Farrell il protagonista del remake appena uscito sugli schermi, diretto da Len Wiseman e in cui si racconta di un lontano futuro, in cui Euroamerica e Nuova Shanghai sono in lotta per il dominio del mondo e nel quale l’operaio Doug Quaid è tormentato da ricorrenti incubi violenti.
Non ricordando nulla del suo passato, Quaid comincia a sospettare di essere una spia a cui sono state cancellate memoria e personalità. L’uomo, poi, non è a conoscenza – se davvero è una spia – di quale delle due parti del conflitto sia la sua e quanto importante possa essere il flusso dei suoi ricordi che, nonostante tutto, si stanno risvegliando. Ciò che conta di più per lui è Melina, una combattente per la libertà: con lei si adopera per rovesciare il governo di Vilos Cohaagen, il corrotto presidente di Euroamerica.
Gli elementi per un buon film ci sono tutti, ma, come spesso capita per i remake, nonostante il cast e l’apparato tecnico, il prodotto non convince. Inseguimenti, scontri, sparatorie, tutti girati servendosi di alcune delle tecniche più avanzate in ambito di computer grafica e affini, dimostrano che Wiseman si trova a proprio agio con ritmi incalzanti e rumorosi, dove l’azione gioca un ruolo primario. Ma, l’uso smodato dell’anamorfico finisce per implodere, coartarsi in se stesso ed annoiare.
Insomma, mentre “Atto di forza” di Verhoeven si ricorda per la vena artigianale e l’inventiva, qui il pompaggio molesto di calcolo computazionale rende l’opera un videogioco e non un vero film. E si tradisce il senso di Dick, che è una speculazione sul concetto di ricordo, con una stravaganza che non può essere inghiottita dalla tecnologia.
Poco convinto e convincente, poi, è Collin Farrell, nonostante sia abituato a ruoli del genere, mentre buona è la prova delle due figure femminili portanti, ossia Kate Beckinsale e Jessica Biel che, tolta qualche uscita comprensibilmente stereotipata, danno entrambe l’idea di essere piuttosto integrate al contesto.
Comunque il film è andato così bene ai botteghini americani che è stato annunciato che il nuovo film sulla Mummia basato sul celebre franchise della Universal, dopo aver trovato uno sceneggiatore in Jon Spaihts, avrà come regista proprio Len Wiseman, con un’uscita fissata per il 2014, prodotto da Alex Kurtzman e Roberto Orci in una ambientazione ai nostri giorni. Speriamo che il risultato sia migliore, ma certo confrontarsi con Bors Karloff sarà molto duro.
Per tornare al film, tutte le pellicole tratte da Dick (la migliore resta “Blude Rumnner”), hanno in comune il fatto che passato, presente e futuro si confondono, con problemi dovuti ad una memoria che si vuole cancellare o recuperare e un rapporto con la tecnologia e con i robot che finisce col creare nient’altro che nuovi problemi tentando di risolverne altri.