269 metri di lunghezza, 28 di larghezza, costruito a Belfast, salpato da Southampton in direzione New York; il suo nome era RMS TITANIC, gemello della Olympic di proprietà delle White Star Line. Doveva essere il gigante dei mari, l’inaffondabile transatlantico di nuova generazione, il “mostro” degli Oceani e invece, come tutti sappiamo oggi, è passato alla storia per la tragica fine nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912. Una maledetta montagna di ghiaccio in pieno Atlantico si frappone tra lui e il nuovo mondo, dopo solo 4 giorni di navigazione.
Il primo e ultimo viaggio che ha lasciato senza speranza a 3600 metri di profondità non soltanto il relitto, ma anche oltre 1500 passeggeri dei quasi 2300 a bordo. Un inferno durato poche ore, tra urla strazianti e masse di uomini, donne e bambini che tentavano disperati una salvezza estrema. Poche le scialuppe, tanti hanno provato a nuotare e in molti si sono inabissati per ipotermia o annegamento.
Niente radar naturalmente, niente sonar o congegni tecnologici, apparecchiature moderne per l’epoca ma antiquate se rapportate ad oggi, sia per i sistemi di salvataggio sia nella cabina di comando. Una rotta infelice, un itinerario infausto e una prima traversata che non ha lasciato scampo ai ricchi di prima classe così come ai meno abbienti, coloro che erano a bordo di quel “piroscafo” con le proprie famiglie per cercare fortuna; in quell’America tanto agognata.
I mass media e soprattutto il cinematografo nel corso degli anni hanno reso immortale quella vicenda, che, ancora a distanza di oltre un secolo, resta stampata nella mente e nei cuori di tutti. Interni lussuosissimi, saloni da centinaia di metri quadri, cabine di pregio, personale qualificato e ambienti comuni spesso rallegrati da musica e divertimento.
Un comandante, Edward John Smith, l’ultimo a lasciare il suo posto, caparbio e di enorme esperienza e un gioiello meccanico nella cui pancia si agitavano imponenti motori, all’apparenza indistruttibili.
Quel blocco gelido ha letteralmente distrutto la fiancata, squarciando una carena che doveva essere, almeno per i costruttori, inattaccabile. Tardivo l’arrivo del Carpathia, che crediamo si sia trovato dinnanzi ad uno scenario da gironi danteschi. Soltanto in 705, in quelle fredde ore, si sono salvati e dopo il recupero poi trasportati presso la baia di New York.
Mai dimenticare questa nottata, mai farlo, per quelle povere anime che, inermi, hanno avuto la sfortuna di trovarsi a bordo di quello che doveva essere all’unanimità il “Re degli Oceani” ma che in realtà si è poi dimostrato una tomba senza speranza. Quelle “anime” innocenti cercavano soltanto una vita migliore, spezzate per sempre in quei catastrofici minuti divenuti nostro malgrado leggenda.
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