In pieno Governo di centrodestra, quando i tagli agli italiani nel mondo erano la regola e la rappresentanza era considerata “un’inutile duplicazione”, arrivò la prima proroga, giustificata in nome della “riforma” della rappresentanza degli italiani all’estero. La riforma poi non si fece, anche perché la proposta di riforma modificava poco in alcuni campi, nulla in altri, ad esempio nel sistema di voto per i Comites, diffusamente considerato dispendioso. Così, in piena crisi economica e finanziaria, arrivò una seconda proroga, motivata proprio con la “carenza di fondi per le elezioni”. Il costo del voto per corrispondenza appariva, in base alle valutazioni del MAE, insostenibile.
Poi la terza proroga, quella dell’”anche”, che introduceva appunto “anche” il voto elettronico per sopperire alle poche risorse disponibili.
La prima proroga indebolì la rappresentanza. Allora sostenni l’esigenza di rinnovare i Comites e il Cgie per seguire l’iter delle riforme e disegnare poi un quadro di rappresentanza compatibile con il futuro assetto costituzionale. Dal 2009 con le riforme costituzionali siamo arrivati ad oggi. Francamente, si sono male utilizzati cinque anni perché nel frattempo si sarebbero potute tenere le elezioni e oggi avremmo potuto avere una vera opportunità di riforma.
La proposta di riforma dei Comites che allora ci venne propinata, in ogni caso avrebbe mutato davvero poco e non avrebbe impedito le proroghe successive poiché queste sono sempre state giustificate con la mancanza di risorse, o meglio con l’assenza di copertura per il voto per corrispondenza previsto per i Comites.
Oggi il Governo dichiara di voler ridurre i costi introducendo l’opzione, vale a dire l’obbligo di prenotazione, per chi desidera votare mediante il voto per corrispondenza. Rispettare la legge e onorare l’impegno preso. Non è uno slogan ma deve trasformarsi in una responsabilità condivisa per arrivare all’obiettivo del rinnovo entro l’anno.
Abbiamo ora l’opportunità di ridare al quadro della rappresentanza una stabilità politica e culturale, ed anche di riassorbire, almeno in parte, il disagio e la delusione che si è accumulata in questi anni di stasi, per riprendere poi il cammino delle riforme.
La disponibilità espressa dal Governo a far svolgere, entro il 2014 e comunque non oltre i primi tre mesi del 2015, le elezioni per il rinnovo dei Comitati degli Italiani all’Estero e del Consiglio Generale, deve trovare l’impegno politico di tutte le forze parlamentari. Nello stesso tempo dovremo trovare un metodo di lavoro per evitare da un lato che la carenza di risorse sia il vero fattore delle modifiche che s’intendono apportare, come è avvenuto per il CGIE, dall’altro che si continuino a rincorrere le misure tampone imposte dall’emergenza, evitando di affrontare, con coraggio, i nodi di una moderna azione di conoscenza ed elaborazione da sviluppare e legittimare all’estero in dialogo con la nostra rete diplomatico-consolare.
Modifiche costituzionali e legge elettorale In questi giorni di tensione politica, in vista dell’esito del dibattito sulle riforme costituzionali al Senato, dobbiamo ricordare a tutti che il cammino che si è intrapreso è nato dall’impegno di tutte le forze politiche che in anni di discussioni e diatribe di modifiche hanno sempre e solo parlato, senza mai riuscire a farle. Non è una richiesta dell’Europa. L’Europa siamo noi e, prima di ogni altra cosa, siamo noi che chiediamo all’Italia, da europei italiani, di essere seria e credibile. Anche se non è una richiesta dell’Europa, dobbiamo fare dunque le riforme, per le quali ci siamo impegnati, per la nostra affidabilità in Europa.
L’Italia non è destinata a diventare una democrazia autoritaria. E’ strumentale e anche un po’ comico affermarlo. Per la prima volta si sta verificando una convergenza tra impegno per le riforme e consenso elettorale. Incredibile a dirsi, proprio l’inaspettata dimensione del successo elettorale di Renzi e del PD in questo delicato passaggio di riforma rischia di creare qualche ostacolo in più per l’allarme che suscita tra i partiti minori. Oltre all’inaspettata voglia di dialogo del Movimento 5 Stelle, prima soffocata dall’imperterrito populismo di Grillo.
Il Senato non elettivo risponde all’esigenza di collegarne le funzioni alle autonomie territoriali. Il vantaggio del risparmio economico, facendovi arrivare rappresentanti locali che già percepiscono un’indennità, è una soluzione convincente anche sotto il profilo della riduzione dei costi delle istituzioni. Mentre l’ipotesi di ridurre il numero dei deputati, che ogni tanto riaffiora, si colloca ancora in una logica di bicameralismo paritario, dura a morire, nella quale il Senato partecipa anche alla discussione del bilancio dello Stato.
Tra il rischio di inutilità politica che scuote i partiti-cespuglio, il rischio di inutilità parlamentare su cui riflette e gioca a scacchi il M5S, il rischio inutilità elettorale delle opposizioni in generale e il rischio di inutilità del percorso fino ad oggi fatto con la legge elettorale e con le riforme costituzionali, il rischio di gran lunga peggiore è fermarsi nuovamente.
E se il Senato dovesse approvare un emendamento che, riducendo il numero dei deputati, cancellasse anche la circoscrizione Estero? Non mi opporrei a questa soluzione, a patto che si indicasse anche, subito, in che modo e per chi si potrà esercitare in loco il diritto di voto degli italiani all’estero.
Ecco perché il Partito Democratico non deve cadere nella tentazione di mediare, secondo una vecchia abitudine italiana, ma deve rilanciare. Deve andare avanti con il piano di riforme. Bene fa Renzi a parlare, proprio in questo delicato passaggio, di un programma di mille giorni. Arrestare il percorso per le riforme aprirebbe la strada ad una crisi di Governo i cui esiti sarebbero scontati.
*deputato eletto all’estero del Pd, residente in Australia
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