Enzo Centofanti, storico esponente della destra nel mondo, per anni membro del Consiglio Generale degli italiani all’estero, è scomparso nelle scorse ore. Morto a 90 anni. Con lui se ne va certamente un pezzo di Storia dell’Emigrazione italiana. Leggo gli interventi con cui suoi grandi amici lo ricordano, da Gian Luigi Ferretti a Vincenzo Arcobelli, e provo grande commozione e nostalgia. E ammirazione, per un mondo fatto di sani princìpi, di battaglie e di valori che oggi sembrano non esistere più.
Io, piccolissimo in confronto a persone come Centofanti, mi sento un bambino di fronte alla Storia quando persone come Enzo ci lasciano. E pur contento di vivere la mia epoca, rimpiango di non avere potuto partecipare e vivere i giorni in cui certe amicizie, certi legami e certe avventure sono iniziate. Allo stesso tempo, ho paura: vedo questi grandi anziani andarsene uno ad uno, lasciarci soli, e penso che non c’è un vero ricambio generazionale. Non nel mondo dell’emigrazione. Un mondo dal quale i giovani, purtroppo, e forse non sempre per colpa loro, si tengono lontani. E quando si avvicinano, vengono tenuti al margine. Vero, esiste qualche eccezione: ma rari esempi non possono rappresentare la regola.
E’ difficile, sarà sempre più difficile sostenere l’universo degli italiani nel mondo senza forze nuove e fresche. Come 35enne, me ne dispiaccio. Sento l’errore che commettono coloro che in qualche modo stimo e ammiro, ma che rimprovero per non capire che non basta organizzare una conferenza – se pur unica nel suo genere – per dare alle nuove generazioni la voglia di partecipare. Non basta organizzare un grande evento, se dopo i giovani vengono lasciati soli. Non vengono aiutati, coinvolti, sostenuti.
Da una persona più grande di me, da un adulto con più esperienza, da un padre, mi aspetterei di essere portato a braccetto nel mondo che verrà. Mi aspetterei di imparare cose che altrimenti nessun altro mi potrebbe insegnare; mi aspetterei che un padre mi insegnasse prima a restare in piedi, a muovere un passo dietro l’altro, e, dopo questo insegnamento, mi lasciasse andare avanti a camminare, da solo. Non è così, purtroppo, non sempre lo è.
Allora, mentre salutiamo gli amici che se ne vanno e non torneranno più, stiamo attenti. Stiano attenti, i “saggi” dell’emigrazione. Non commettano l’errore di pensare di essere immortali, perché non lo sono. Gli uomini passano, i valori restano. Non commettano l’errore di non trasmetterli, perché, se non lo faranno, ciò che si sono impegnati a costruire e a difendere per una vita, crollerà inesorabilmente. I nostri padri sappiano guardare lontano, a quello che sarà dopo di loro, e ci insegnino come affrontare il futuro, quando loro non ci saranno più.
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