Roma – L’unione fa la forza. È un atteggiamento conciliante quello del senatore Raffaele Fantetti, entrato al posto dell’ex collega Nicola Di Girolamo – finito in gabbia perché accusato, fra l’altro, di essere arrivato a Palazzo Madama grazie ai voti della ‘ndrangheta – e pronto a promuovere iniziative di dialogo con l’opposizione, “come nel caso della legge Tofani e degli incentivi per il rientro dei giovani”.
Un giorno sembra sul punto di cadere e quello seguente gode di ottima salute. Questo governo cade o rimane in piedi fino al 2012?
“Non cadrà – assicura Fantetti -, soprattutto ora che gli avvenimenti in Europa sembrano andare nella direzione giusta, tesa a rafforzare sia l’azione che la tenuta del governo. E’ ovvio che gli impegni presi vadano mantenuti ma, storicamente, l’Italia riesce sempre ad onorare la parola data. Inoltre, non immagino uno stimolo più forte della salvezza dell’euro”.
L’umore della maggioranza nei confronti di Gianfranco Fini, anche in considerazione degli ultimi avvenimenti, peggiora costantemente. Lei ritiene che debba rinunciare alla sua carica?
“Queste decisioni sono legate alla sensibilità delle persone, ci sono posizioni che si raggiungono sulla base di caratteristiche specifiche e, una volta giunti lì, si acquisisce una funzione istituzionale che deve prevalere rispetto alle posizioni personali e politiche. Se Fini perde questa distinzione mette a repentaglio anche la stessa istituzione della presidenza della Camera”.
Vale lo stesso ragionamento anche nel caso di Bini Smaghi?
“Sì, anche per lui. Bini Smaghi è un grande funzionario, una persona estremamente competente nominata dal governo, ma ora ci troviamo di fronte a un interesse internazionale volto a garantire un’equa presenza dei vari stati membri ai vertici della Bce. Attualmente Draghi occupa la presidenza e Bini Smaghi, quindi, dovrebbe avere la sensibilità di rinunciare alla sua posizione”.
Non pensate che l’elettore medio possa interpretare questo gesto come un piegarsi ai voleri della Francia, soprattutto dopo i recenti nervosismi con i cugini d’Oltralpe?
“No, assolutamente. Il fatto che Draghi sia presidente non può essere certo sminuito dal passo indietro richiesto a Bini Smaghi”.
La famosa risatina di Sarkozy è frutto di un’ironia ormai diffusa ironia verso il governo italiano?
“In quel frangente si è verificata una caduta di stile non voluta, sia da parte della cancelliera Merkel che da parte di Sarkozy. In quest’ultimo caso non devono essere dimenticate le caratteristiche personali, la Francia è sempre molto attenta a essere presente nelle istituzioni europee e ora si ritrova ad aver perso la presidenza della Bce per colpa dell’Italia, per di più in prossimità delle elezioni. E’ normale che Sarkozy sia, in Francia, sottoposto a pesanti critiche che, a sua volta, ha riversato su di noi”.
Insomma, dobbiamo essere indulgenti e passare oltre?
“Più che altro non dobbiamo continuare a prestare il fianco alle critiche estere perché poi si degenera e non otteniamo rispetto. Qualcuno ritiene che offendere l’opposta fazione politica sia un modo per accaparrarsi elettorato, pur infangando l’immagine del Paese”.
Il nostro governo, però, sembra non essere più gradito nemmeno ai componenti stessi della maggioranza. Come commenta l’avvicinarsi del suo collega di partito, Guglielmo Picchi, all’Udc?
“Per ora aspetto che la notizia sia confermata. Nutro una grande stima sia personale che professionale verso Picchi e so che, da tempo, era critico in termini costruttivi su alcune situazioni. Tra l’altro, Picchi viene da una storia limpida e duratura sempre coerente all’interno del centrodestra. Se veramente dovesse passare all’Udc sarei stupito, ma aspetto l’eventuale conferma prima di commentare”.
Anche lei sta cambiando partito?
“Assolutamente no, non vedo alcuna possibilità in questo senso e smentisco categoricamente qualsiasi voce”.
Passando alle istituzioni che rappresentano gli italiani all’estero, quando si sbloccherà la situazione di Comites e Cgie?
“Abbiamo presentato una riforma approvata dal Senato ed ora aspettiamo il passaggio alla Camera. Su questo argomento, come sulla legge per gli incentivi fiscali per il rientro dei giovani, c’è un forte dialogo con l’opposizione e ricordo che il progetto di legge Tofani è stato ideato dal collega Pd Micheloni. Sulla riforma di Comites e Cgie siamo in linea con quanto è richiesto dalle attuali necessità di contenimento costi: si riduce la spesa e si aumenta l’efficienza di questi importanti presidi degli italiani all’estero, consentendo di arrivare al rinnovo con una nuova forma, escludendo i nominati ed ammettendo solamente gli eletti a vari livelli all’interno del Cgie. L’inclusione dei rappresentanti regionali, inoltre, è un segnale importante in vista del federalismo”.
Quali sono le priorità degli italiani all’estero?
“Secondo me va portata avanti la riforma di Comites e Cgie. È stata approvata da tempo al Senato e spero che si concluda rapidamente l’esame alla Camera, abbiamo già segnalato che, se ci saranno delle modifiche, non interverremo pur di accelerare i tempi. Lo scopo è arrivare al rinnovo dei Comites, fin troppo protratto, poiché sono uno strumento importantissimo e democratico e abbiamo tutto l’interesse a renderli efficienti, anche per dimostrare alla platea italiana che noi residenti all’estero siamo in grado di gestire le nostre istituzioni”.
Non esistono altre urgenze, più pratiche?
“È necessario istituire una commissione bicamerale per gli italiani all’estero perché, se continuano a esistere una commissione e un comitato che lavorano in parallelo senza dialogare, la nostra rappresentanza parlamentare risulta indebolita. La questione è urgente ed è importante saper portare avanti le nostre battaglie insieme per ottenere vittorie concrete. Non bisogna cedere ai personalismi”.
Il solito elettore medio rabbrividirebbe a sentir parlare di bicamerale pensando a ulteriori spese. Non si era detto di tagliare?
“Non si tratterebbe di ulteriori spese, ma di evitare l’esistenza di due organismi che lavorano in parallelo senza mai confrontarsi. Per quanto riguarda i tagli di bilancio, sono necessari e per tutti ma, in passato, si è esagerato con la circoscrizione estera. In commissione bilancio, al Senato, approvando il provvedimento di agosto abbiamo introdotto il criterio dello spending review che permetterà di evitare i tagli lineari e di analizzare voce per voce dove si può tagliare e dove già è stato tagliato abbastanza”.
A proposito di riduzione delle spese, è d’accordo con l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti?
“No, perché porterebbe a una snaturalizzazione del criterio democratico di rappresentanza degli interessi in politica, favorendo una situazione di disuguaglianza dei censi in Parlamento.
Non bisogna toccare nemmeno i contributi all’editoria?
“Abbiamo già tagliato abbastanza lì dove era opportuno farlo”.
Concorda con chi propone di regolarizzare e tassare la prostituzione per recuperare ulteriore denaro?
“Non è giusto tassare la prostituzione rendendola lecita. Per combattere l’evasione bisogna garantire un maggiore livello di onorabilità degli oneri fiscali da parte di altre categorie professionali. Partiamo da loro e lasciamo stare la prostituzione”.
Lei è entrato in Senato a seguito della carcerazione di Di Girolamo. Questa vicenda ha intaccato l’immagine della circoscrizione estera?
“Negli ultimi dieci anni, dall’approvazione della legge Tremaglia, l’atteggiamento è molto cambiato. Prima si respirava un’opinione favorevole, forse anche per rimediare ai quarant’anni di noncuranza, ma i casi drammatici come quello di Pallaro o di Di Girolamo hanno portato alla luce un malfunzionamento della legge elettorale che va perfezionato. Tutto questo ha provocato un certo scetticismo, dovuto anche alla relativa capacità degli eletti di incidere nei lavori d’aula e in commissione. Un ulteriore problema è, infine, il nostro essere non uniti. L’insieme di questi fattori ci espone a diverse critiche, ma faccio notare che il gruppo del Pdl ha sempre negato l’esistenza di piani di abolizione della circoscrizione estera ed ha sempre confermato l’impegno verso il diritto di voto”.
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