Roma – Seconde generazioni. Sia emigrate che immigrate. La questione dello ius soli torna a far parlare e così ItaliaChiamaItalia ha deciso di mettere a confronto i diritti degli italiani all’estero con quelli degli stranieri in Italia attraverso l’analisi di Eugenio Marino, responsabile Pd mondo e membro del Forum immigrazione.
Eugenio Marino, oltre ad essere responsabile per il Pd mondo, lei fa parte del forum immigrazione del partito e rappresenta, quindi, un punto di vista competente sia sull’immigrazione in Italia che sull’emigrazione italiana all’estero. Quali sono le differenze tra il nostro Paese e gli stati europei in relazione al riconoscimento dei diritti?
“In Italia siamo indietro, soprattutto se consideriamo il fatto che il nostro è un Paese democraticamente avanzato. Ogni stato europeo ha una normativa differente ma, in linea generale, all’estero è molto più facile ottenere la cittadinanza e partecipare alla vita politica”.
In Italia cominciano a farsi sentire le voci delle seconde generazioni, come abbiamo visto con la recente campagna “L’Italia sono anch’io”. Il diritto di voto ai figli di immigrati è un problema reale o il Paese, in questo momento, ha altre priorità?
“È assolutamente un problema concreto e tangibile. Ci troviamo di fronte a figli di immigrati che, in realtà, sono cresciuti in Italia, hanno frequentato le nostre scuole, sono cresciuti con i nostri figli e, spesso, non sono mai andati nel Paese di origine. Quando questi ragazzi compiono diciotto anni si sentono dire che non sono italiani”.
L’opinione pubblica ripete spesso che gli italiani emigrati all’estero non si sono visti attribuire dei diritti e che l’Italia sarebbe un paese troppo indulgente con gli immigrati. È così? I nostri connazionali hanno avuto la possibilità di votare nel paese in cui sono arrivati?
“In generale sì, hanno avuto questa possibilità, dipende dal paese estero. In Lussemburgo non votano solamente le seconde generazioni ma anche gli stessi immigrati, dopo qualche anno, possono prendere parte alle amministrative, perché sono residenti anche se non sono cittadini. In Francia, gli italiani di seconda generazione sono cittadini francesi per lo ius soli e, quindi, possono votare”.
Proprio sul tema dello ius soli, gli italiani non hanno dimostrato molto interesse. Lo dimostra il fatto che, quando il presidente Napolitano aveva tentato di richiamare l’attenzione sull’argomento, si era sentito rispondere da più parti che “al momento ci sono altre priorità”. Tutto questo è dovuto al fatto che l’Italia è un paese di recente immigrazione o a un fattore culturale?
“Non è un fattore di tempi e nemmeno culturale, è una questione politica. In Italia abbiamo una destra anomala e una forza quasi xenofoba come la Lega che, messe insieme, rappresentano un paradosso tutto italiano. Abbiamo un centrodestra che è fermo allo ius sanguinis e che non vuole aprirsi ad altre idee”.
Quindi sarebbe tutta colpa del centrodestra? Il centrosinistra ha fatto abbastanza per questa causa?
“È colpa della politica del centrodestra. Noi come Pd sosteniamo da tempo una campagna importante con il forum immigrazione e diciamo apertamente che chi nasce in Italia è italiano, chi paga le tasse qui deve diventare cittadino italiano”.
A proposito di chi paga e chi dovrebbe pagare, la nuova frode scovata dalla guardia di Finanza riguarda 29 esperti esterni della Farnesina. Il caso accende ancora una volta riflettori negativi sul settore estero?
“Non penso che l’illegalità sia un’esclusiva della Farnesina, purtroppo. Queste sono cose che succedono in molti campi. Possono accadere in qualsiasi settore, si tratta di capire dove si nasconde il corrotto e colpirlo, stavolta è toccato a chi fa le missioni internazionali”.
Ai cittadini, però, rimane l’impressione che il settore faccia spesso un uso non idoneo delle risorse assegnate…
“Alla Farnesina ci sono sprechi e privilegi di altro tipo che, in questa situazione economica e con i tagli a cui è obbligato tutto il Mae, bisognerebbe rivedere. Esistono sacrifici che dovrebbero fare anche gli alti funzionari della Farnesina per recuperare risorse da impiegare in altri comparti ben più importanti e a rischio chiusura”.
Insomma, la casta abita anche all’estero?
“Non sono più accettabili certi privilegi, bisogna spezzarli per salvare realtà molto importanti. Penso ai corsi di lingua e cultura che, dal prossimo anno, chiuderanno se non si troveranno le soluzioni che abbiamo chiesto al ministro Terzi”.
Voi continuate a chiedere, ma il ministro risponde?
“Quando si è insediato, il ministro ci ha dato grandi speranze, nei suoi primi passi ha dimostrato attenzione e competenze e ha fatto atti concreti ma, ora, vediamo un rallentamento sulla tabella di marcia che avevamo immaginato e temiamo che si voglia realmente dare seguito a tutti gli auspici iniziali. È il caso di chiedere con forza a Terzi di passare ad atti concreti e più incisivi, soprattutto per quanto riguarda i corsi”.
Che cosa farete di concreto, per dare corpo a queste richieste?
“Nei prossimi giorni si terranno diverse iniziative per chiedere al ministro di recuperare le risorse necessarie incidendo su alcuni stipendi e su altre garanzie eccessive. Ci aspettiamo che Terzi continui ad ascoltarci e cominci a passare ai fatti. Dopo l’incontro con Catricalà ci eravamo dichiarati soddisfatti delle capacità di ascolto di questo governo tecnico, ora ci aspettiamo che si proceda. Se questo accadrà, rappresentanti dell’esecutivo continueranno ad aver la nostra fiducia, altrimenti dovremo rivedere il nostro giudizio”.
Che cosa intende per “diverse iniziative”?
“Sono previste delle iniziative politiche nelle quali indicheremo a Terzi, ancora una volta, le urgenze e le priorità per recuperare le somme da impiegare almeno per i corsi di lingua e cultura. I settori allo stremo sono tanti e capiamo la situazione economica generale, ma cerchiamo di salvare ciò che ci rappresenta di più nel mondo e che funziona come canale di rapporto diretto tra le nuove generazioni e l’Italia e come volano economico. Su questa vicenda ci aspettiamo risposte serie e, se non arriveranno, vorrà dire che gli auspici dell’insediamento sono rimasti ‘lettera morta’”.
Con il ministro c’è un dialogo quotidiano o, comunque, costante?
“C’è un dialogo istituzionale e parlamentare, non quotidiano. Niente di più”.
È di pochi giorni l’approvazione del ddl di Fedi che, oltre a estendere i diritti sindacali ai dipendenti del ministero degli Esteri assunti al di fuori dei confini nazionali, rappresenta il primo disegno di un eletto all’estero che si trasforma in legge. Più che un traguardo, sembra l’indizio che gli eletti all’estero non lavorano poi molto…”.
“Non è certo colpa degli eletti che, anzi, hanno lavorato moltissimo. Basta guardare il dato sulle presenze in aula, loro sono i più assidui. La verità è che il precedente governo andava avanti solo per decreti legge e il Parlamento si limitava a ratificare le decisioni del governo. Si procedeva sempre con il voto di fiducia e questo ha penalizzato i ddl di tutti i parlamentari, non solo di quelli esteri”.
La legge Fedi è, quindi, una conquista?
“Il Pd sostiene l’allargamento dei diritti e il fatto che la prima legge di un eletto all’estero riguardi proprio un ampliamento di diritti è ancora di più un motivo di orgoglio”.
Discussione su questo articolo