La politica industriale e’ stata per lungo tempo, troppo tempo, il pulcino nero che tutti ignoravano. Prima perche’ erano gli anni d’oro della finanza. Poi per il primato delle politiche di rigore e austerita’, che prevalevano sullo sviluppo. Una impopolarita’ dovuta anche al fatto che politica industriale suona come sinonimo di programmazione economica che, a sua volta, richiama il concetto d’intervento dello Stato nell’economia resuscitando perfino i fantasmi delle Partecipazioni statali, con il loro carico di sprechi e corruzione. Ora pero’ si avvertono segnali di cambiamento e scelte adeguate di politica industriale tornano ad essere considerate necessarie per rilanciare l’industria manifatturiera e battere la recessione. Ne sono convinti la presidenza del Consiglio, la ministra dello Sviluppo economico, Confindustria. Ma, nell’attesa d’interventi concreti, vale la regola riassunta in un vecchio detto: ‘Primo, non prenderle’.
Si adatta bene alla situazione attuale perche’ passare dalle dichiarazioni d’intenti ai fatti richiede riflessioni adeguate e, nel frattempo, pezzi pregiati dell’industria italiana stanno emigrando verso altri lidi. Il caso piu’ eclatante, quello all’onore delle cronache, e’ l’Ilva di Taranto, il centro siderurgico piu’ importante d’Europa, per il quale il commissario straordinario, Piero Gnudi, sta cercando una soluzione difficile da trovare. Servono azionisti dalle spalle forti e, in mancanza d’imprenditori italiani disposti ad investire capitali adeguati, le verifiche in corso sono con Arcelor Mittal, controllata da capitali indiani e francesi, e con l’indiana Jindal. Il che, come ha sottolineato il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, rischia di creare problemi seri all’eccellenza delle eccellenze italiane, l’industria metalmeccanica, acquirente dei prodotti di Taranto.
Ma altre cessioni sono in corso e rischiano d’indebolire non poco l’industria italiana. Tre esempi, in particolare, meritano di essere citati: Ansaldo Sts nel segnalamento ferroviario, Saipem nei grandi lavori (che controlla anche l’engineering di Snamprogetti), la Avio nell’aerospazio. Sono, ognuna a modo loro, dei gioielli che l’Italia rischia di perdere. I venditori hanno buone ragioni, del tutto giustificate, ma e’ un vero peccato. ‘Rischia di essere un impoverimento forte per il Paese’, commenta Giorgio Rossi Cairo, fondatore e amministratore delegato della Value partners, societa’ di consulenza strategica, perche’ ‘c’e’ il rischio che il compratore punti soprattutto alle quote di mercato e finisca nel medio lungo termine per trasferire all’estero tecnologia, ricerca e centri di comando, anche se non e’ detto che finisca sempre cosi’.
L’esempio del Nuovo Pignone di Firenze lo conferma, ceduto dall’Eni alla General Electric e’ diventato sempre piu’ un centro di competenze a livello internazionale’. Ansaldo Sts, quotata in Borsa, fa capo a Finmeccanica, holding che il nuovo amministratore delegato, Mauro Moretti, ha il compito di ristrutturare e rilanciare. Finmeccanica e’ capofila di attivita’ diversificate nella difesa, nell’aeronautica e nello spazio. Troppe attivita’, che rischiano di essere dispersive in settori dove la concorrenza internazionale ha dimensioni di gran lunga maggiori. Ecco perche’ e’ stato annunciato un processo di selezione delle attivita’, con la vendita d’imprese e la concentrazione delle risorse disponibili su un numero selezionato.
In piu’ la scelta e’ di cedere Ansaldo Breda, nel trasporto ferroviario, che, soprattutto negli anni scorsi, e’ stata fonte di perdite elevate e che puo’ trovare un compratore soltanto se messa sul mercato insieme ad Ansaldo Sts. Il risultato e’ che quest’ultima finira’ ai giapponesi dell’Hitachi oppure alla cordata cinese, comunque uscira’ dal perimetro italiano. Esattamente come un’altra azienda di tecnologia avanzata, la Avio Spazio, leader nella produzione e realizzazione di sistemi propulsivi a propellente solido per i lanciatori di satelliti. Attualmente e’ controllata dal fondo britannico di private equity Cinven, ma resta partecipata da Finmeccanica che mantiene voce in capitolo sulla destinazione finale. Avio Spazio e’ corteggiata dalla francese Safran e dall’europea Eads, prima in concorrenza tra loro poi, da qualche mese, alleate. Una alleanza che ha ridotto i margini di manovra per mantenere in Italia almeno le attivita’ della Avio.
Per quanto riguarda Saipem, infine, la scelta dell’Eni di rafforzarsi nel petrolio e nel gas, cuore delle attivita’ di gruppo, ne comportano il probabile sacrificio. Questo puo’ significare, per l’Italia, l’addio ad una societa’ leader nella realizzazione d’infrastrutture per la ricerca di giacimenti d’idrocarburi, la perforazione e messa in produzione di pozzi petroliferi nonche’ la costruzione di oleodotti. Nel caso della controllata Snamprogetti, invece, e’ in gioco il destino di una societa’ d’ingegneria che tutto il mondo ci invidia, specializzata nella progettazione e costruzione di grandi impianti come raffinerie e pipeline (cioe’ gasdotti, oleodotti, metanodotti).
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