Subito dopo la nomina del ministro dell’Integrazione, l’italiana di origine congolese Cecile Kyenge, si sono sprecate le dichiarazioni di autorevoli rappresentanti della sinistra a favore dello ius soli, tanto che la stessa ministra, ignorando le più o meno esplicite raccomandazioni di Letta a mantenere un profilo sobrio e non divisivo (un quarto d’ora di celebrità fa gola a chiunque), si è affrettata a rilasciare interviste a destra e a manca, più a manca che a destra. La legge Bossi-Fini va cancellata ed e’ pronto un disegno di legge nel senso più aperto appunto a fare ottenere la cittadinanza immediata allo straniero che nasca in Italia. Non sappiamo se le dichiarazioni di certi politici italiani, che si dicono favorevoli allo ius soli, tornato improvvisamente alla ribalta (in un momento in cui i problemi degli italiani acuiscono i conflitti sociali) nascano da un sincero desiderio di accoglienza oppure siano parole pronunciate in cerca di facile consenso. Dunque, basterebbe nascere nel territorio nazionale per diventare italiano in maniera automatica e godere dei corrispettivi diritti. E i doveri? Qualcuno comincia ad avanzare proposte, che però al momento non riescono a convincerci più di tanto.
In questi giorni e’ capitato di leggere dichiarazioni di esponenti del centrodestra favorevoli al diritto di cittadinanza attraverso “il suolo”. E ci sorprende non poco: difendere l’identità italiana, la Patria, sempre nel rispetto delle differenze, dovrebbe ancora essere un valore da portare avanti con forza, soprattutto in certe aree politiche. Difendere la Patria, abbiamo detto. Già. Perché qui non si tratta certo di razzismo, figuriamoci. Chi scrive vive da anni nella Repubblica Dominicana, è cresciuto e ha lavorato con uomini e donne di ogni colore. E non sopporta il razzismo inteso come discriminazione a seconda del colore della pelle (sono razzista nei confronti degli ignoranti, degli stolti, dei maleducati, dei violenti, non di congolesi cinesi o rumeni che siano). No, qui si tratta di sopravvivenza. Proprio così.
Vedete, è facile per i parlamentari e per i ministri parlare di ius soli: probabilmente loro, che vivono nei centri storici delle grandi città, che girano in auto blu, che vanno in vacanza nei posti più chic della Penisola e del mondo, che mandano i figli nelle scuole private pagate a suon di quattrini, il fenomeno dell’immigrazione non lo devono affrontare come fanno invece la famiglie italiane ogni giorno; come deve fare chi è costretto a rinunciare ai propri diritti perché qualcuno appena arrivato glieli sottrae. Rendiamoci conto, senza ipocrisia: vi immaginate cosa significherebbe avere lo ius soli nel nostro Paese? Cosa eviterebbe, per esempio, alle madri di tutto il mondo, in particolare di quelle zone disastrate e più povere del pianeta, di giungere in Italia per partorire il proprio figlio? Lo farebbero anche solo per concedergli la cittadinanza tricolore, aspirando magari al nuovo reddito di cittadinanza. E quante di loro, con la propria famiglia al seguito, si trasferirebbero probabilmente qui da noi? Lo farebbero in maniera regolare? Aspirando alla dignita’ del lavoro? Non so.
Cosa vuol dire ius soli? Concedere la cittadinanza italiana anche ai figli degli immigrati clandestini? Anche ai figli degli immigrati che non lavorano, non parlano italiano, non conoscono le nostre leggi e le nostre istituzioni, non hanno a cuore le sorti dello Stivale? Vorrebbe dire rendere italiano anche il figlio di una coppia di immigrati che non condivide le nostre regole, e dunque non ha la minima intenzione di rispettarle?
Attenzione. Stiamo attenti perché basta poco per degenerare. Le periferie delle nostre città sono già invase da persone che spesso non si lavano, rubano, stuprano, occupano case in maniera abusiva, spacciano, sporcano. Possono sembrare parole crude, ma è la realtà. La situazione descritta ce la ritroviamo davanti agli occhi più di quanto possano pensare il ministro dell’Integrazione o il presidente della Camera Laura Boldrini. La verità è che c’è troppo buonismo (anche ipocrita), e poca voglia di considerare lucidamente le reali conseguenze di una scelta del genere.
No, cari amici, la cittadinanza italiana non si regala. Non si regala ai figli degli immigrati in Italia, così come non dovrebbe essere regalata a quegli italiani residenti all’estero che la pretendono solo per avere in tasca un passaporto italiano e poter viaggiare più facilmente per il mondo. Ecco perché, in questo caso, le regole per la concessione della cittadinanza vanno riviste. E in qualche caso in senso restrittivo. Non viviamo nel lontano far west, in zone che hanno bisogno di essere popolate, non ne sentiamo il bisogno. Siamo già per molti versi stranieri in Patria, non vogliamo certo essere privati dei nostri diritti a casa nostra. Noi siamo quelli che vogliono legalità e sicurezza. Siamo per il rispetto reciproco, certo, ma fra persone che abbiano chiaro in testa cosa significhi convivenza dignitosa e civile. E’ tardi, per l’Italia, per pensare allo ius soli. Senza quello, siamo già messi male. Figuratevi se dovessero arrivare come cavallette a partorire nei nostri ospedali. Sarebbe la fine di un’Italia che non è la Francia né gli Stati Uniti d’America. E non lo vuole diventare.
Twitter @rickyfilosa
Discussione su questo articolo