Le ferite della guerra che poi della guerra non sono, ma di un passato complicato di madri morte presto, fidanzate abbandonate, figlie mai conosciute e poi l’origine, indiana nativo-americana, Blackfoot per la precisione, a rendere tutto piu’ indecifrabile: e’ Jimmy P. di Arnaud Desplechin, oggi in concorso al Festival di Cannes. E’ il primo film americano di un autore francese (Un conte de Noel) molto amato in patria e dai critici internazionali, applaudito alla fine della proiezione stampa, ma con commenti non unanimi all’uscita. Adattamento del libro dell’antropologo e psicanalista ungherese Georges Devereux, Realta’ e sogno, che pone i fondamenti della etnopsichiatria ed ispirato ad una storia vera che riguarda lo stesso medico, interpretato da Mathieu Amalric.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Jimmy Picard (Benicio Del Toro) torna dalla Francia nella riserva indiana dove ha vissuto prima di arruolarsi. Ha una ferita sulla sommita’ del cranio per un incidente di guerra, di notte ha gli incubi, un mal di testa che lo debilita e le gambe che tremano. E’ ammesso all’ospedale militare di Topeka in Kansas dove cominciano ad esaminarlo e gli diagnosticano una schizofrenia. La comunita’ scientifica dell’ospedale, pero’, di fronte ai sintomi di Jimmy Picard decide di chiamare uno psichiatra che ha studiato gli indiani Mojavi. ‘L’incontro tra lo psicoterapeuta e il paziente – racconta Desplechin – diventa poco a poco confidenziale e si trasforma in un rapporto quasi di amicizia’. Le sessioni di analisi, che il professore trascrive minuziosamente, sono scambi di riflessioni sull’esistenza in cui, contrariamente ad altre scuole, Devereux interagisce frequentemente facendo si’ cosi’ che Jimmy lasci emergere il suo passato, accettarlo e guarirne.
La storia e’ vera, il Topeka Hospital fu il primo in America a trattare i traumi psicologici della guerra e le teorie di Devereux furono oggetto di controversia, troppo freudiane per gli antropologi, con un approccio troppo etnologico per gli psicanalisti, non abbastanza per una vera pratica psichiatrica.
‘Questo libro – racconta il regista – mi ha sempre affascinato e solleticato la passione che ho per l’analisi. Il dialogo tra Jimmy e Devereux e’ un dialogo da film. Ho immaginato per anni di trasferire tutto in immagini’. Il film diventa un duetto interpretativo con Benicio Del Toro impegnato in una recitazione tutta a sottrarre e quella tutta partecipata e vitale di Mathieu Amalric. L’attore (e regista) francese tesse le lodi del collega americano, ‘ha avuto da subito l’intuizione giusta per interpretare Jimmy, e’ stato impressionante’. Per l’attore di origine portoricana, premio Oscar per Traffic di Soderbergh, migliore attore al festival di Cannes nel 2008 per Che, ‘oltre alla sceneggiatura convincente e affascinante, al racconto dell’umanita’ di questo personaggio c’era stimolante la sfida di trovare l’accento giusto, riuscire a entrare nella cultura indiana che peraltro sento molto vicina, un estraniamento che posso intuire’. Misty Upham, che nel film e’ la Blackfoot che Jimmy P. abbandona incinta, ma che resta innamorata per tutta la vita, e’ una vera indiana, ‘la prima – dice con orgoglio – nativa americana mai stata in concorso al festival di Cannes’. Contenta che la storia dei nativi ‘arrivi al cinema e venga conosciuta’, la Upham regala alla platea la frase cult: ‘ci ho messo pochissimo ad innamorarmi di Benicio’. L’attore, considerato tra i piu’ sexy in circolazione (ex di Valeria Golino, applaudita ieri sera per l’esordio alla regia con Miele), e’ atteso nel nuovo film di Terrence Malick con Ryan Gosling e Rooney Mara e prepara il nuovo film di Paul Thomas Anderson, Inehrent Vice.
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