Lentamente ma in modo inesorabile, ogni elemento fasullo della grottesca impalcatura di Calciopoli sta scrollando, svelando la realtà nuda e cruda.
Una delle prove principali, usate come grimaldello per incastrare Luciano Moggi, erano le famigerate schede svizzere, quelle sim che, secondo l’accusa, l’ex dg della Juventus usava per tirare le fila dell’altrettanto fantomatica “cupola”, chiacchierando con arbitri e designatori, scampando dalle intercettazioni. In questi giorni però, Paolo Gallinelli, già avvocato dell’ex arbitro De Santis, apre uno squarcio e butta un’ombra su questi tabulati.
Gallinelli ha messo sul banco degli imputati una domanda concreta come un mattone, chiedendo e chiedendosi come avrebbero mai fatto i Carabinieri ad avere nei tabulati i tentativi di chiamata fatti con queste schede svizzere, quando l’altro telefono era spento o non raggiungibile. La domanda non è banale, ma fondamentale, poiché soltanto dal 2009 le compagnie telefoniche italiane raccolgono quel tipo di dato. Prima di questa data, i tabulati in possesso della magistratura contenevano solo le chiamate con risposta.
Dunque, se solo dal 2009 le compagnie telefoniche raccolgono quel tipo di informazione, com’è possibile che nei tabulati in mano agli inquirenti di Calciopoli, per intenderci le informative che fornì il colonnello dei carabinieri Auricchio, i tentativi di chiamata senza risposta risultano?
Quei tabulati, secondo quanto ricostruito dai Carabinieri, sono stati ottenuti dalle compagnie telefoniche italiane, alle quali le schede svizzere si agganciavano in roaming. Secondo la ricostruzione, si chiese alle aziende (Tim, Wind, Vodafone, eccetera) di conoscere il traffico telefonico di quelle schede, e sapere quando agganciavano le cellule italiane. Le compagnie consegnarono questi tabulati, sui quali i Carabinieri effettuarono manualmente, quindi senza computer lo schema degli incroci per stabilire da dove chiamavano e chi. In questo modo si deduceva che se una scheda aveva molti contatti da Arezzo veniva associata all’arbitro Bertini, e così via per gli altri. Un metodo un po’ azzardato e non proprio scientifico, che però ha avuto inspiegabilmente successo nel processo di primo grado.
Quei dati quindi non potevano essere forniti, invece c’erano, e allora come e da chi arrivarono quelle informazioni? Come spesso abbiamo detto in questa lunga storia, “a pensar male si fa peccato però ci s’indovina”.
Un campanello d’allarme suona quando poi si pensa al pc di Giuliano Tavaroli presente nella caserma di via in Selci quando iniziò l’inchiesta Calciopoli. Questo portatile dell’uomo “Telecom” che aveva organizzato le indagini su Moggi e De Santis, venne spedito a Roma dalla Procura di Milano con un decreto d’ispezione: cosa conteneva? Era forse un vaso di Pandora? Dopotutto Tavaroli poteva accedere al sistema Radar per intercettare “illegalmente” il traffico telefonico e allora sì che poteva registrare i tentativi di chiamate! Ci piacerebbe davvero che in secondo grado questo pc in qualche modo parlasse!
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