Dopo la riunione del Fondo monetario internazionale, primo grande impegno della neo-eletta presidentessa Christine Lagarde, dopo la cena fra i rappresentanti economici dei 20 paesi più potenti del mondo, è stata stilata una nota, diffusa nella notte da Washington, in base alla quale ci si rassicura circa la volontà degli Stati per una “risposta forte e coordinata per affrontare le nuove sfide dell’economia mondiale". Lo scrivono i ministri delle finanze e i governatori della banche centrali del G20 e, per quanto riguarda l’Europa, nel comunicato si sottolinea che "i paesi dell’area euro stanno mettendo in atto le decisioni prese il 21 luglio 2011" e sono pronti ad "adottare le azioni necessarie per aumentare la flessibilità" del fondo salva-Stati (Efsf), così da ottenere "il massimo impatto" contro il rischio di "contagio" della crisi. I membri del G20, inoltre, assicurano circa il fatto che "le banche siano adeguatamente capitalizzate e abbiano un adeguato accesso ai fondi necessari per affrontare gli attuali rischi e per mettere in atto Basilea 3".
Ma la cosa non produce effetti e le Borse continuano la loro picchiata, con Milano che chiude a -4,52 e spread fra debito sovrano italiano e tedesco che torna a differenziali ciclopici (stamani 413) e, ancora, bollettino della Fed (che parla, per l’Europa, di rischio economico e politico), che trascina in rosso i principali listini del Vecchio Continente. Sotto pressione soprattutto le banche, dopo che Standard & Poor’s e Moody’s hanno declassato rispettivamente sette banche italiane e tre istituti Usa. Moody’s ha tagliato il giudizio sul debito di Bank of America, Wells Fargo e Citigroup. Dopo il downgrade del rating sovrano dell’Italia, S&P ha abbassato i giudizi da ‘A+’ ad ‘A’ di Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Findomestic Banca e delle controllate di Intesa Sanpaolo Banca Imi, Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo e Cassa di Risparmio in Bologna.
Ieri sono stati salvati Milanese ed il governo, ma Berlusconi è uscito dall’aula con la faccia scura, ben conscio che la Lega non è più intenzionata a proteggerlo in ogni caso e che i problemi del Paese, quelli reali, sono tutti sul piatto, nonostante i 90 miliardi bruciati in queste settimane e nonostante il supporto (che però è quasi al termine) della Banca Europea. Inoltre, come intelligentemente nota sul Corriere l’attento Marco Galluzzo, mentre Silvio Berlusconi si sfogava con i suoi deputati, Giulio Tremonti era già in volo per Washington, per partecipare alle riunioni del Fondo monetario internazionale. E ciò non segna solo una distanza geografica, ma una grande distanza umana e politica fra Berlusconi e Tremonti. Attorno al Cavaliere, ieri, non si è parlato d’altro: l’assenza di Tremonti, che sarebbe potuto essere presente, nonostante l’impegno internazionale, prendendo altri voli in altri orari di linea o servendosi di un “riconosciuto e corretto” (una volta tanto) volo di stato. Invece Tremonti non è andato né al Consiglio dei Ministri né in Parlamento, tanto che Berlusconi ha autorizzato il suo partito ad emettere una nota ufficiale in cui si parla di “atto immorale”. E c’è stato anche di più, come ricostruiscono tutti i giornali. Ieri mattina Tremonti ha fatto recapitare a tutti i ministri il Def , il documento che aggiorna le cifre e le previsioni della nostra economia, documento di cui il governo era all’oscuro pur essendo chiamato ad approvarlo senza alcuna illustrazione. Sicchè è questa la goccia che, per Berlusconi, colma la misura e fa straripare il vaso.
Brunetta, Galan, Romani prendono la parola contro il comportamento di Tremonti e non riesce nella solita opera di pompiere-pacificatore il pur ottimo Gianni Letta. Pare che da ieri sera Berlusconi parli di vendita del patrimonio dello Stato e dice che questo governo deve portare “il Paese al riparo dalla crisi con provvedimenti eccezionali”. Ma questo sarà possibile se, oltre ai problemi legali che lo impegnano per gran parte del suo tempo, non ha dalla sua il ministro della economia? Il vero problema, ora, è che il governo, che pure ha tenuto e con tre voti in più del previsto su Milanese, si trova a gestire una manovra che sembra dettata dal Tesoro e senza alcuna convinzione, con una distanza politica ed umana fra i due protagonisti (Berlusconi e Tremonti), ad ogni istante più ampia, acuita da fatti grandi e piccoli e resa più infuocata, in queste ore, dalla nomina del prossimo governatore di Bankitalia, perché Berlusconi ha scelto Saccomanni e non Grilli.
La vita, si sa, è una questione di scelte, ma questo preoccupa quando a scegliere per la collettività sono singoli individui che basano le loro posizioni su fatti strettamente personali. Francesco Bei, su Repubblica, scrive che nel giorno in cui il Pdl e la Lega salvano dalla galera il suo ex braccio destro, l’unica via che si delinea per Silvio Berlusconi è sfiduciare Giulio Tremonti. E la procedura è già attivata, non con atti formali, ma con un giudizio durissimo contro il ministro dell’Economia, accusato senza mezzi termini di aver tradito la causa comune. "È andato in giro in Europa a dire che ero stato io a peggiorare la manovra", si è sfogato il premier con i suoi ministri, "e, se non ci fosse questa bufera sui mercati, avrei già fatto l’unica cosa da fare: chiedergli di andarsene". Ieri, in serata, nel corso dell’incontro con Alfano e lo stato maggiore del Pdl, non si è parlato dei franchi tiratori leghisti nel voto su Milanese, ma proprio del “problema” Tremonti. Ma con lo spread sopra i 400 e niente luce all’orizzonte, tutti hanno paura a cacciare un ministro del tesoro. Allora, ecco la soluzione: una cabina di regia con cui, di fatto, commissariarlo. E si pensa ad una nuova manovra (la quinta in pochi mesi), in cui rivedere le pensioni ed introdurre una tassa patrimoniale. D’altra parte Berlusconi ha ben poche possibilità, dal momento che Napolitano, tre giorni fa, lo ha messo con le spalle al muro, dicendogli: “Abbiamo tre mesi, da qui a dicembre, per smuovere tutto, per dare una scossa all’economia". E dovrà, Berlusconi, anche trovare il modo di giustificare il fatto, che neanche Cicchitto riesce convintamente a giustificare, che quasi tutta l’agenda parlamentare della prossima settimana sia concentrata sul processo “elastico”, ora breve ora lungo, a seconda degli interessi (e delle pendenze) del “gran capo”.
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