Criticare il comportamento dei politici italiani è fin troppo facile. Eliminato con un referendum il finanziamento pubblico ai partiti, questi sono riusciti ad intascarne il triplo. Facendo aumentare in un modo spropositato il numero dei dipendenti pubblici, in particolare impiegati, si sono creati un popolo di fidi “elettori” , che a loro volta hanno creato una paralizzante burocrazia che “disarma” il volenteroso.
Hanno più volte promesso di ridurre il numero dei parlamentari, delle province, degli enti inutili, ma la decisione viene continuamente rimandata . Aver trovato un politico con le mani “nella marmellata”, non fa più notizia, fa più notizia non averlo trovato. Molto ci sarebbe da dire al riguardo del come i partiti si comportano quando hanno qualcosa da dirci, essendo autoconvinti di essere gli unici depositari del “sapere”: il loro non è un parlare, ma un “pontificare”, infatti ritengono di essere gli unici in grado di “salire in cattedra”.
Si pensi alla occupazione partitocratica del territorio e delle istituzioni, ogni angolo dell’Italia, comuni, province e regioni, è diventato loro “feudo”. Ma chi ha dato loro tale investitura ? Siamo di nuovo precipitati nel Medioevo?
Non parliamo poi di tutti i privilegi della cosiddetta “casta”, stipendi, pensioni, auto blu, ecc. Alcuni di loro, le classiche mosche bianche, dicono “siamo onesti”, “non abbiamo colpe”, “siamo tranquilli”, ma cosa fanno per cambiare? Meno di niente. Se veramente fossero “nauseati” abbandonerebbero tutte le cariche politiche, e denuncerebbero il comportamento dei loro colleghi. Ma perché non lo fanno? La ragione è una sola, dove troverebbero un identico lavoro? Non hanno tutti i torti, hanno fatto tanto per arrivarci, perciò non vedono la ragione di sollevare il loro sedere dalla poltrona.
Ma come si comportano i partiti al seguito delle nostre giuste critiche, che prossimamente potrebbero diventare giusti insulti? Logica vorrebbe che rendendosi contro della situazione in cui si trovano, decidessero di fare una “inversione di rotta”; ma neanche per sogno, a parte una ventilata e sempre rimandata “rottamazione”, non sono andati oltre. Anzi cercano di addebitare a noi cittadini le maggior colpe di questa “deriva partitocratica”, infatti ci accusano di poco senso civico, di scarso attaccamento alle istituzioni, qualunquisti, antipolitici, ecc.
Alcuni anni fa, fu fatta una inchiesta-sondaggio per conoscere il grado di conoscenza che gli elettori avevano al riguardo dei programmi dei vari partiti. Scopo, constatare se gli elettori erano a conoscenza del reale comportamento dei partiti, in particolare, se quello che avevano promesso, fosse o non fosse stato successivamente mantenuto. Solo una piccolissima parte di loro ha dato risposte qualificate.
Ci rendiamo conto delle conseguenze che si creano a causa di questa scarsissima conoscenza politica? I politici hanno fatto ben poco per combattere questa nostra poca informazione, anzi si potrebbe dire che loro sono gli artefici, infatti, quando descrivono le loro scelte, parlano in politichese, usano parole a doppio o a triplo senso, difficilmente comprensibili anche ai commentatori politici. Non dimentichiamoci che i legislatori hanno la necessità di conoscere esattamente ciò che gli elettori chiedono, diversamente non si vede come sia possibile andare incontro alle loro esigenze.
E allora che fare? Ricordo molti anni fa, ancora giovanissimo, pur essendomi appena affacciato alla politica, mi resi conto dell’esistenza del problema appena accennato, ebbene, seppur provocatoriamente proposi “la patente a chi vota”; in parole povere, chi non era interessato ad una seppur minima conoscenza delle proposte e del comportamento dei vari partiti, non poteva votare.
Tocchiamo un altro tasto non meno delicato. Sarebbe idealmente necessario che dando il voto ad un partito, ognuno di noi potesse pronunciarsi anche sul loro comportamento, cioè poter dire: mi sei piaciuto, oppure mi hai deluso. Purtroppo il voto non permette la possibilità di spedire “messaggi”di tal genere, infatti il voto ad un partito è solo, e niente altro, che un “consenso” e come tale ovviamente viene inteso.
Quando dopo una tornata elettorale, i partiti si apprestano a commentare i voti ricevuti, danno ad un aumento dei voti un ben preciso significato: che i loro programmi , che le loro battaglie, che i loro comportamenti , sono piaciuti, conseguentemente ritengono doveroso continuare sulla strada intrapresa. Qui la contraddizione è evidente, dare un voto ad un partito è un consenso, come dire “continua così”, perciò non possiamo dire a loro “avanti tutta” e contemporaneamente pretendere un cambiamento. Ed infatti, anche perché a loro non conviene, i partiti non cambiano. I partiti hanno molte cose da rivedere, ma qualcosa dobbiamo rivederlo anche noi.
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