Mostra del Cinema di Venezia, per fortuna è finita! – di Simona Aiuti

Si è conclusa la settantunesima Mostra del Cinema di Venezia, direi abbastanza di basso profilo, a tratti così basso che le attrici potevano quasi presentarsi in infradito, solo che ha sempre minacciato pioggia. La madrina è arrivata per l’apertura, poi è sparita ed è ricomparsa per il finale, dicendo che non ha visto nemmeno un film, ma che li vedrà senz’altro a Roma: il giornalista è rimasto come un gatto di marmo.

Guerre, carestie, sciagure personali e cosmiche, nonché cineasti intellettuali che sembra ciccino solo in occasioni del genere, poi se ne perdono le tracce. Con tante sciagure mastodontiche, Elio Germano è entrato Papa ed è uscito cardinale; interpretando Giacomo Leopardi, pessimista, malato, con due gobbe e un sacco d’altri guai, non è riuscito a vincere, e questo la dice tutta sulle calamità delle altre pellicole.

Nota interessante la presenza di James Franco, con camicia sbottonata fino all’ombelico, stile tamarro all’attacco e un vistosissimo tatuaggio sulla nuca, da fare invidia a un capo ultras.

Il premio speciale della giuria non poteva che andare al film “Sivas”, uno spaccato dell’Anatolia del combattimento dei cani firmato dal turco Kaan Mujdeci, che il 99% dei presenti non saprebbe individuare il giorno dopo nemmeno fosse vestito di rosso fosforescente.

In sintonia con il trend, il premio Mastroianni è andato all’attore emergente Romain Paul che in “Le dernier coup de marteau”, film di Alix Delaporte è un protagonista introverso e taciturno, che te lo dico a fare. Clotilde Hesme è la madre malandata di questo ragazzino più adulto di lei, un talento del calcio. I due vivono in una roulotte mentre il padre di lui, un famoso direttore d’orchestra, lo ignora. La Coppa Volpi è andata ad Alba Rohrwacher, modesta, dimessa, e con un cognome che farebbe venire un esaurimento nervoso anche a un logopedista, mostra una certa timidezza e senso di smarrimento che pare lo stesso della pellicola; le consiglierei un parrucchiere che non abbia studiato da carrozziere. La Coppa Volpi alla migliore interpretazione maschile va ad Adam Driver per “Hungry Hearts”.

Gran Premio della giuria a “The look of Silence” di Joshua Oppenheimer sul genocidio in Indonesia, da non confondere con quello armeno, e forse a questo punto un senso strisciante d’angoscia ha pervaso le calli veneziane. Leone d’Argento ad Andrej Koncalovakij “Le notti bianche del postino”, storia di uno sperduto villaggio russo che vive come un secolo fa.

Roy Andersson, regista svedese, non ha creduto fino all’ultimo di aver vinto il Leone d’Oro, invece il suo mondo visto dai piccioni ha convinto la giuria che l’ha preferito agli altri venti film in concorso. Considerando che a Venezia i leoni volano e i piccioni camminano, la vittoria non avrebbe dovuto sorprendere più di tanto.

“A Pigeon sat on a Branch refletting on Existence” racconta di un viaggio in un paesaggio occidentale, di un venditore e di un ritardato mentale. Un percorso fatto di incontri e situazioni casuali che danno uno spaccato particolarissimo della società attuale. Il regista, con il suo Leone stretto in mano, ha fatto una dichiarazione d’amore al cinema italiano citando De Sica con “Ladri di biciclette”.

Sì, c’era anche Belen, che con l’allure del Cinema c’entra come i cavoli a merenda, poi Ambra Angiolini con improvvise chiome botticelliane e la voce rotta dall’emozione e forse rotta da un discorsetto ovvio e banale, come quello del presidente della Repubblica a fine anno. E poi di nuovo lei, Luisa Ranieri, con un bel vestito da matrona, con un braccio coperto e l’altro no, un’acconciatura con cerchietto che dimenticheremo, così come alla svelta dimenticheremo l’abito spaziale di Catrine Deneve, che faceva il paio con quello di strisce incollate alla bell’è meglio di Charlotte Gainsbourg, un po’ approssimativa e sexy come il piedistallo su cui poggia il Leone d’Oro.

Alla fine sono scappati tutti da una cerimonia un po’ soporifera; molti film non credo che sbancheranno il botteghino.