In occasione del recente convegno promosso dall’On. Nissoli sull’associazionismo, la dott. Cristina Ravaglia, capo della Direzione generale per gli Italiani all’Estero e Politiche Migratorie, ad inizio del suo intervento ha voluto mettere in evidenza come esistano oggi associazioni che nel tempo “si sono lasciate andare”, che “hanno perso la loro ragione d’essere e che, comunque, si sfrondano da sole”. “La politica che la Dgiepm sta perseguendo da anni – ha proseguito il direttore generale Ravaglia – è quella della razionalizzazione. Sarà la qualità a fare da discriminante".
Per tutte le associazioni è stato indicato come esempio da seguire, o meglio, da non dimenticare, l’associazione Niaf presente al convegno. Ora, che il Mae sia la sede deputata ad occuparsi delle associazioni degli italiani all’estero piuttosto che il ministero del welfare, che si occupa dell’associazionismo presente in Italia, o la presidenza del Consiglio, è discussione aperta quanto irrisolta. Che, nel quadro ora riassunto, il Mae voglia fare una mappatura aggiornata delle associazioni è più che legittimo, soprattutto se la si finalizza alla registrazione delle associazioni in vista del rinnovo dei Comites così come da legge istitutiva degli stessi. Il Mae ha già inviato una scheda di rilevazione ai consolati i quali, responsabilizzando i Comites, erano tenuti, se non ricordo male, entro il 15 giugno, a rinviarla al Mae. Ora la Direzione generale per gli Italiani all’Estero e Politiche Migratorie intende avviare una nuova rilevazione corredata di criteri qualitativi sui quali intende acquisire il parere del CGIE e del Coordinamento delle Regioni per l’Emigrazione. Dalla Assemblea del CGIE di ieri sono già arrivate risposte critiche e perplessità sul metodo e sul merito.
E’ singolare che non sia maturata l’idea di ascoltare la Consulta Nazionale dell’Emigrazione (CNE) che nelle recenti e meno recenti occasioni di discussione promosse dal Mae e dal CGIE è sempre stata chiamata ad esprimere le valutazioni dell’associazionismo nazionale. Altrettanto singolare il fatto che nella formulazione dei suoi criteri il Mae non abbia tenuto conto della esistenza dei due ddl sull’associazionismo presentati dall’On. Bobba e dal Sen. Longo con altri colleghi. Si tratta di provvedimenti di legge che mirano a riconoscere all’associazionismo degli italiani all’estero, sulla base di alcuni criteri riconosciuti validi in Italia, gli stessi diritti che hanno le associazioni italiane che agiscono esclusivamente in madrepatria.
Se i connazionali all’estero devono avere eguali diritti e doveri rispetto ai cittadini in Italia, lo stesso ragionamento vale anche per l’associazionismo e le forme di tutela rappresentata dai patronati.
In una recente intervista che ho particolarmente apprezzato, l’On. Fedi afferma: ”Io penso che l’associazionismo sia spesso sottovalutato e anche scarsamente conosciuto. Noi abbiamo all’estero un associazionismo particolarmente vitale che si è anche rinnovato. Vi sono associazioni che sono prevalentemente presenti sulla rete con forme di dialogo e aggiornamenti continui sulle informazioni. Vi sono – prosegue Fedi – altre forme associative che nascono da specifiche tematiche che in questo caso sono la partenza, l’arrivo, i processi di insediamento per chi ha un visto breve, ma anche di integrazione per chi ha un visto di maggior durata. Ridurre il pluralismo dei soggetti associativi, le diversità esistenti tra i territori ad un tetto di iscritti che ti legittimi come esistente e vitale, a parametri numerici empiricamente definiti, appare riduttivo e burocraticamente non esaustivo. Data di costituzione, finalità statutarie, il capitale sociale e i nominativi dei rappresentanti legali, l’operatività nel paese da almeno cinque anni sono i requisiti previsti dalla legge. Quando tra i criteri che si intende attivare si inserisce quello della ‘operatività’ delle associazioni il terreno diviene di totale discrezionalità dei consolati i quali (attenendosi ai criteri della Dgiepm) potranno decidere quale associazione va iscritta al Registro e quale va esclusa. Operatività affidata, di necessità viste le risorse umane dei consolati, alla autocertificazione delle associazioni, ma che il consolato discrezionalmente avrà cura di valutare, caso per caso, per la concretezza e rilevanza sul territorio”.
Il criterio generale – oscuro nella sua definizione – che si intenderebbe assumere, indistintamente, per tutte le associazioni (che invero altro non possono rappresentare se non i propri soci) aprirebbe un fronte amplissimo di discrezionalità dei singoli operatori consolari atteso che l’associazione dovrebbe essere “rappresentativa della collettività di cui è espressione”. Chi e su quale base dovrebbe decidere che il cineforum italiano piuttosto che la Mutuo Soccorso, o la parrocchia cattolica siano rappresentativi della collettività? Se invece s’intende come “collettività di cui è espressione” la base associativa di ogni singola associazione chi, se non l’assemblea dei soci, può dire se i propri rappresentanti la rappresentano o meno? Infine cosa sia l’operatività “non autoreferenziale” risulta di difficile interpretazione.
Certamente l’aggiornamento del Registro delle associazioni secondo le previsioni di legge è cosa da fare, anche se non credo si possa condividere il contestuale proposito di voler “valorizzare le esperienze di associazioni che svolgono attività concrete e positive che potrebbero essere prese a modello per un rilancio del nostro associazionismo nel mondo”. Non è, io credo, compito del Mae dare pagelle o indicare i modelli di associazionismo da assumere. Le intenzioni manifestate pubblicamente e esplicitate nella lettera in tema di requisiti sono il segnale, dispiace dirlo, di una intenzione di modus operandi che va oltre i compiti della DGIEP. Sarebbe un obiettivo insormontabile mettere insieme, come in altre occasioni, Mae, Cgie, Regioni e CNE per definire insieme, non ex post, il miglior modo di procedere alla citata mappatura delle associazioni?
*vicepresidente della CNE
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