Si sono chiuse con un risultato in chiaroscuro le elezioni per il rinnovo dei Comites, così come erano state aperte. Tralascio qui il pregresso perché è stato abbondantemente dibattuto e vengo subito alla fase che si apre, dopo una breve premessa che serve a fare il punto e capire da dove e come ripartire. Intanto va ricordato che questi organismi, i cui componenti lavorano a titolo esclusivamente volontario, non si rinnovavano da undici anni: erano quindi logorati, soprattutto nei loro componenti più anziani. Va poi aggiunto che nessun tipo di campagna di informazione seria, a parte gli spot su Rai Italia e la lettera del MAE, è stata fatta per ricordare il voto, la sua importanza e quella dei Comites e, soprattutto, per far conoscere liste e candidati: dato essenziale per chiedere a un cittadino che non conosce né l’istituzione né i candidati di esprimersi.
Occorre poi ricordare che il sistema di presentazione delle liste è sempre quello delle passate elezioni, mentre ciò che è cambiata è esclusivamente la facoltà di votare, che deve essere palesata dal cittadino attraverso l’iscrizione nell’elenco degli elettori (e a tutti era arrivata la lettera che lo spiegava).
Detto questo, passo alle considerazioni politiche. Gli iscritti all’elenco elettorale sono stati circa l’8% degli aventi diritto al voto. Bassa in termini assoluti. Tra questi, ha poi votato quasi il 65%, pari al 4,5% degli aventi diritto in base all’elenco AIRE. Questo ci dice innanzitutto una cosa: che non tutti quelli che si iscrivono e hanno voglia di partecipare e votare, alla fine votano, proprio perché probabilmente non conoscono liste, candidati o istituzione stessa, quindi non hanno informazione adeguata. E molti non si sono proprio iscritti per lo stesso motivo. Inoltre, ai cittadini italiani era arrivata la comunicazione che si votava a dicembre e, dopo che le elezioni sono state rinviate, non è arrivata la comunicazione che si votava ad aprile.
Infine, dato non secondario, basta osservare i dati sull’affluenza alle principali competizioni elettorali di tutto il mondo (e italiane in particolare) per vedere che negli ultimi decenni la partecipazione elettorale, anche nelle competizioni più importanti, è in calo. Quindi il principale problema del calo dell’affluenza va ricercato in motivazioni politiche generali e di tutt’altra natura non nel ruolo dei Comites o nel sistema di voto con l’iscrizione. Seppure, chiaramente, questo sistema contribuisce ad abbassare l’affluenza e va quindi accompagnato da una politica seria di informazione e consenso.
Io il problema del calo di interesse lo individuo soprattutto nella disaffezione a uno Stato che negli ultimi sette anni è apparso disinteressato nei confronti degli italiani nel mondo; nella sfiducia derivante dalle politiche di tagli lineari nei servizi e nelle attività verso le comunità e i loro servizi; nel logoramento degli stessi Comites i quali, sfiancati da tre rinvii del voto, hanno quasi smesso di funzionare.
A questi motivi particolari, poi, aggiungo il dato più generale a cui facevo cenno: la sfiducia verso la classe politica. Una sfiducia che deriva soprattutto dal fatto che essa non è più percepita da molti come in grado di guidare e condizionare gli eventi e di portarci fuori in tempi ragionevoli dalle grandi crisi economiche che mordono a fondo nella carne viva delle persone. Questi dati, questa sfiducia, sono verificabili a livello nazionale e globale dal 2006 in poi. Ebbi modo di scriverlo già qualche mese fa e mi scuso se mi ripeto.
Nel 2006 votarono alle politiche italiane 39 milioni di italiani; nel 2008 scesero a 37; nel 2013 a 35. Stesso calo alle europee: nel 2004 andarono alle urne 35 milioni di connazionali; nel 2009 scesero a 32; nel 2014 a 28. Tra le nostre comunità all’estero, la prima volta del voto, nel 2006, votarono 1.053.864 italiani (il 38.93%). Seguirono due anni di Governo Prodi nei quali si ottennero diversi risultati positivi almeno in termini di risorse verso le comunità, assistenza e lingua e cultura, tanto che, in leggera controtendenza rispetto al dato nazionale, nel 2008 gli elettori salirono leggermente a 1.155.411 (39.5%), circa mezzo punto in più. Nel 2013, dopo cinque anni di tagli, un disinteresse totale di chi governava e una forte crisi economica globale, nonostante si diffondesse sempre di più la conoscenza del voto all’estero, l’affluenza è precipitata a 1.103.898 votanti (31.5%, otto punti in meno rispetto al 2008 e in linea col dato generale in Italia e nel mondo).
Dunque, seppure parliamo delle elezioni più importanti e partecipate per un Paese, quelle di cui si parla tutti i giorni su tutti i mezzi di comunicazione di massa, osservo che la tendenza generale è, purtroppo, alla disaffezione, al calo della partecipazione, alla stanchezza. Tendenza consolidata in tutte le “democrazie avanzate”, Stati Uniti compresi (…).
E non è un caso se il New York Times, nel 1988, scriveva con lucida lungimiranza, che il “governo del popolo” (Government of the People) si stava trasformando in “Government of (half) the People”, cioè “Governo di (metà) del popolo”.
Non solo l’iscrizione all’elenco degli elettori all’estero, quindi, né la mancanza di conoscenza e informazione sui Comites né la disputa stancante sulla loro “utilità”, ma questa complessa articolazione di cause – e molto altro che qui non può essere approfondito per ragioni di spazio – determina il calo dell’affluenza. Calo che, sia chiaro, per me rappresenta un problema grave a cui porre rimedio, almeno parzialmente e per ciò che ci compete direttamente.
Come? Intanto facendo ciò che abbiamo sempre sostenuto, anche quando abbiamo deciso di indire le elezioni: cioè procedere innanzitutto a una riforma complessiva del sistema di rappresentanza all’estero che, partendo dal completamento del processo di riforma del metodo del sistema elettorale all’estero (per il quale siamo già intervenuti con l’iscrizione all’elenco elettorale e il voto degli Erasmus), continui con la riforma della legge 459 del 2001, dell’AIRE, del CGIE e, se necessario, dei Comites, tenendo presente la riforma del MAE, del sistema di internazionalizzazione e, soprattutto, quella costituzionale all’esame del Parlamento e inquadrando queste riforme in quell’alveo.
Poi, lavorando sull’informazione, in modo serio sia da parte della Rai che del sistema di comunicazione all’estero, a partire da quella che si farà con la riforma del sistema dell’editoria e dai consolati. Se saremo in grado di fare queste riforme guardando a ciò che succede sul piano generale, io credo che alle prossime elezioni l’affluenza aumenterà sensibilmente.
Inoltre, elemento non certo secondario proprio nel merito delle riforme, io credo che sia un bene che a discuterne vi siano Comites e CGIE composti da rappresentanti in gran parte nuovi, motivati e, in buona parte, espressione di quel mondo della recente emigrazione che fin qui non era rappresentato (e che deve ancora aprirsi). Basti guardare alle esperienze positive e significative, non solo dal punto di vista simbolico, di realtà e figure come quelle del Comites di Los Angeles, di Vienna, di Boston, San Paolo, Lussemburgo, Wellington e diversi altri dei quali daremo qui maggiore approfondimenti in futuro. Comites nei quali le migliori espressioni della recente emigrazione hanno saputo legarsi e conciliarsi con le migliori espressioni della emigrazione tradizionale in un contesto e una sintesi costruttivi di tradizione, rinnovamento e progressismo che tiene insieme quel senso di comunità di cui c’è bisogno. Questa rappresentanza, fresca, motivata, nuova, ampia, potrà discutere con maggiore consapevolezza, lucidità e sguardo al futuro di quanto non avrebbe potuto fare quella uscente che era stata portata allo stremo.
Insomma, se di riforme e di recupero di partecipazione si deve parlare, è bene farlo ora con chi ce l’ha messa tutta, in mezzo a tante difficoltà, per partecipare e per rappresentare gli italiani all’estero nei Comites. Sono stati pochi? Può darsi, ma sono sicuramente motivati, capaci e con lo sguardo rivolto in avanti, altrimenti non si sarebbero candidati né avrebbero votato. Ora lavorino per fare bene e coinvolgere i molti.
*responsabile del Pd nel Mondo
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