Oggi, in data 12 giugno 2013, il Comitato per le Questioni degli Italiani all’Estero ha approvato all’unanimità una risoluzione sull’applicazione dell’IMU sui beni immobili posseduti dai cittadini italiani residenti all’estero, affare assegnato al CQIE dal Presidente del Senato in data 07 giugno 2013 (Atto n. 47), in vista delle riforma complessiva dell’imposizione fiscale sui beni immobili che il Governo si è impegnato ad elaborare entro il 31 agosto 2013.
Negli ultimi anni il Governo ha considerato tali abitazioni come seconde case, applicando il criterio dell’abitazione prevalente e non valutando, a nostro avviso ingiustamente, la specificità degli italiani residenti all’estero, a partire dal ruolo fondamentale svolto da diverse generazioni di emigranti ai fini dello sviluppo economico e dell’equilibrio finanziario del Paese, nel passato così come nel presente.
Non si tratta “solo” di una questione di giustizia: nello scenario globale, a maggior ragione nella condizione critica che affligge le economie europee e in particolare quella del nostro Paese, la solidità del legame tra i Paesi d’origine, i singoli cittadini espatriati e le comunità, l’attenzione al ruolo strategico della lingua e della cultura di riferimento, sono fattori essenziali per lo sviluppo delle imprese e la crescita dell’occupazione. In questo quadro è necessario tenere conto della valenza simbolica che l’abitazione di proprietà riveste per i cittadini italiani residenti all’estero, soprattutto per le seconde e terze generazioni, rappresentando spesso l’unico legame rimasto con la patria di origine. L’eventuale allentamento di questo rapporto comporterebbe per l’economia italiana rischi rilevanti, ad esempio sul mercato immobiliare, il settore edilizio e il turismo di ritorno.
“Abbiamo proposto un riassetto dell’imposizione fiscale sui beni immobili posseduti dai cittadini italiani residenti all’estero – spiega il senatore Claudio Micheloni, PD, presidente del Comitato -, a condizione che non risultino locati o concessi in comodato d’uso gratuito, che preveda: la classificazione delle suddette unità immobiliari come abitazione principale; il ripristino delle modalità di pagamento previste dalla Legge 24-03-1993 n. 75; l’introduzione di criteri certi di identificazione dei soggetti interessati, per impedire che la riforma in discussione generi nuove forme di elusione fiscale. Vi informeremo sull’esito della proposta”.
Micheloni continua: “Desidero ringraziare i colleghi Senatori membri del Comitato per il contributo dato alla discussione e per aver approvato la risoluzione all’unanimità. A breve affronteremo anche il problema della Tarsu-Tares, con l’obiettivo di ridurne l’importo per gli italiani residenti all’estero ad un solo trimestre, e diverse altre questioni, già indicate nel programma di lavoro che ci siamo dati, per offrire un contributo serio alla soluzione della crisi”.
RISOLUZIONE APPROVATA DAL COMITATO SULL’AFFARE ASSEGNATO N. 47 (DOC. XXIV-ter, n. 1)
Il Comitato,
premesso che:
– il Governo è impegnato a elaborare entro il 31 agosto 2013 una riforma complessiva dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, in ragione della contingente situazione economico-finanziaria del Paese;
– il Governo, con il Decreto Legge 21-05-2013 n. 54, ha recentemente disposto la sospensione del versamento della prima rata dell’imposta municipale di cui all’art.13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, per le abitazioni principali classificate nelle categorie A/2, A/3, A/4, A/5 e A/6, e altre unità immobiliari ad esse assimilabili;
considerato che:
– la disciplina inerente le unità immobiliari possedute a titolo di proprietà o di usufrutto dai cittadini italiani residenti all’estero non prevede attualmente la loro classificazione come abitazioni principali, a differenza di quanto stabilito dalla Legge 24-03-1993 n. 75, a meno che non lo stabiliscano i regolamenti specifici approvati dai singoli Comuni interessati, i quali possono disporre tale classificazione a condizione che le unità immobiliari in questione non risultino locate;
– l’orientamento prevalente dei Comuni è quello di non usufruire di tale facoltà;
considerato inoltre che:
– per quanto riguarda le modalità di pagamento dell’imposta, i cittadini italiani residenti all’estero, a differenza di quanto previsto dalla Legge 24-03-1993 n. 75, sono in tutto e per tutto assimilati ai cittadini residenti in Italia, nonostante la loro condizione di evidente svantaggio nel rapporto con la pubblica amministrazione e gli enti locali;
Tenuto conto che
– I cittadini italiani residenti all’estero hanno svolto un ruolo fondamentale rispetto allo sviluppo economico e l’equilibrio finanziario del Paese, nel passato così come nel presente: va ricordato, a titolo esemplificativo, che tale contributo può essere solo parzialmente quantificato in una quota pari al 5-7% delle entrate nella bilancia dei pagamenti tra gli anni 50 e gli anni 70 del secolo scorso, attraverso le rimesse; tale contributo oggi, considerando le somme che le casse pensionistiche pubbliche estere versano ai nostri connazionali in pensione rientrati in Italia, insieme a quelle versate dalle casse pensioni aziendali e ai versamenti di derivazione privatistica, si può stimare realisticamente una cifra di cinque miliardi di euro spesi e investiti, anno dopo anno, in Italia;
– hanno avuto luogo rilevanti trasformazioni del fenomeno migratorio negli ultimi decenni e in particolare in questi ultimi anni, tali da modificare sensibilmente la qualità e la quantità delle nuove migrazioni, la natura dei bisogni individuali, le potenzialità economiche e culturali rappresentate dal fenomeno stesso per il futuro del nostro Paese;
considerato da ultimo:
– l’importanza che diversi Paesi europei, quali ad esempio Germania, Francia, Spagna, attribuiscono alla funzione propulsiva che le comunità e i singoli cittadini residenti all’estero svolgono in ordine alla competitività e alla capacità di attrazione degli investimenti esteri dei rispettivi sistemi-paese: nello scenario globale, a maggior ragione nella condizione critica che affligge le economie europee e in particolare quella del nostro Paese, la solidità del legame tra i Paesi d’origine, i singoli cittadini espatriati e le comunità, l’attenzione al ruolo strategico della lingua e della cultura di riferimento, sono fattori essenziali per lo sviluppo delle imprese, l’appetibilità dei prodotti e la crescita dell’occupazione;
– la valenza simbolica e delle implicazioni materiali che l’abitazione di proprietà riveste per i cittadini italiani residenti all’estero, in maniera particolare per le seconde e terze generazioni: dal punto di vista simbolico essa rappresenta spesso l’unico legame rimasto con la patria di origine; quanto alle implicazioni materiali, queste non riguardano solo i proprietari delle abitazioni ma anche e soprattutto il circuito economico dei territori. I rischi immediatamente derivanti da un allentamento o una recisione del legame di cui sopra sono ingenti, e devono essere considerati nell’ambito di una valutazione costi-benefici dell’assetto impositivo attuale: desertificazione urbanistica di territori già particolarmente provati dalla crisi e dalle nuove ondate migratorie; ulteriore depauperamento dei valori immobiliari, e relative conseguenze sul settore edilizio; brusca diminuzione del turismo di ritorno;
impegna il Governo:
ad operare, in ragione delle considerazioni precedentemente esposte e nell’ambito della riforma dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, nella direzione di un riassetto dell’imposizione fiscale sulle unità immobiliari possedute da cittadini italiani residenti all’estero a titolo di proprietà o di usufrutto, a condizione che non risultino locate o concesse in comodato d’uso gratuito, e per un’unica unità immobiliare, in conformità alle seguenti indicazioni: classificazione delle suddette unità immobiliari come abitazione principale; ripristino delle modalità di pagamento previste dalla Legge 24-03-1993 n. 75; introduzione di criteri certi di identificazione dei soggetti interessati, a cominciare dalla obbligatorietà dell’iscrizione all’AIRE, per impedire che la riforma in discussione possa generare nuove forme di elusione fiscale.
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