Quando siamo bravi, scivoliamo nel masochismo. Ci facciamo male da soli, con un’imprudenza, una furbata mal riuscita, una mossa contro regola. Guardiamo l’ultima, il marciatore d’oro di Pechino che viene scoperto dopato alla vigilia della sua gara dei Giochi di Londra. E allora, secondo gli stranieri e pure secondo qualcuno di noi, siamo un popolo di dopati. Se vinciamo, e non capita spesso, ci abbandoniamo all’autocitazione, cosparsi d’incenso. Gli stranieri ci dicono bravi, quanto sono bravi questi italiani, hanno idee, non mezzi.
Dura però lo spazio della celebrazione, poi ridiventiamo camorristi, ndranghetisti, e più in generale un popolo di mafiosi. Veniamo etichettati, ammassati in giudizi parziali, in generale non giusti. Gli altri generalizzano quando parlano di noi. Se Napoli è abitata da cumuli d’immondizia, passiamo per grandi zozzoni. Facciamo bene tante cose, noi italiani, insuperabili però nel rovinare tutto magari con un gesto o un atto maldestro. La furbizia, ecco, è una delle contro-virtù che ci rendono precari agli occhi del mondo. Questa del marciatore d’oro di Pechino 2008, scoperto dopato, è una colossale cavolata. Il tentativo folle di stare davanti a tutti, di marciare alla riconquista del successo, che assicura sponsor e immagine. Quattrini, e non pochi. Alex Schwazer, carabiniere, è stato per anni la faccia pulita e la voce convincente degli ipermercati Despar e della Kinder, griffe degli ovetti e delle barrette di cioccolata. La cioccolata prodotta con il latte delle “mucche delle mie montagne”, assicurava nello spot televisivo Schwazer di Racine, frazione di Calice, passato evidentemente da quel latte all’eritropoietina. Meglio conosciuta più semplicemente con l’acronimo Epo. È andata a procurarsela in Turchia. O se la sarebbe procurata in Turchia. Comunque una follia.
Anche di questo veniamo ora accusati, il doping in alcuni casi non ci fa schifo, ma non sappiamo neppure doparci. Si dopano tutti, dalla Nuova Zelanda all’Alaska, passando per Stati Uniti, Africa, Asia, Europa: noi dimostriamo che il doping non lo sappiamo fare. Persona in possesso di labile psicologia, un instabile, Alex Schwazer ha confessato. Si è pentito, e il suo pentimento appare sincero; incoerente e lacunoso il racconto: Schwazer è uno di quegli italiani che non dispiacciono ad un certa categoria di stranieri. Un bugiardo. Siamo etichettati anche come gente che racconta bugie e di bugie vive. Ma non è così, giuro che non è così: in Italia e nel mondo ci sono italiani bravi, grandi lavoratori, menti ingegnose, persone corrette. Milioni e milioni e milioni d’italiani non sono bugiardi, tantomeno mafiosi o camorristi, scorretti, senza parola. Una minoranza riesce però a calamitare su tutti noi scomode, spiacevoli, cattive etichette. Spesso veniamo giudicati per quelli che non siamo. Ma è anche colpa nostra. Quando confezioniamo ottime cose, una grande cavolata comunque la commettiamo. Il classico pugno di sale che rovina la minestra. Una parte di noi, intesi come italiani, si abbandona all’esagerazione. Quella parte è eccessiva, e di conseguenza siamo tutti eccessivi agli occhi di chi ci giudica. Come Alex Schwazer, l’ex ragazzo dalla faccia da bravo ragazzo. Il dopato che ha sporcato la reputazione dell’Italia nella giornata più azzurra finora all’olimpiade di Londra. La carabina d’oro di Campriani, il fucile d’argento di Fabbrizzi, il bronzo agli anelli del ginnasta Morandi. L’Italia sul podio spinta sottoterra dal marciatore con la sua storia di doping. Dovevate sentirli gli stranieri: ironia e finto dispiacere dispensati ad arte per mortificarci. Noi siamo quelli che siamo, ma non quelli che loro vorrebbero che fossimo. Imbroglioni, bugiardi, camorristi, mafiosi e altro ancora. Laddove potremmo essere tra i migliori, se avessimo il conforto di governanti all’altezza delle nostre aspettative e delle nostre ambizioni. Siamo un Paese popolato anche di milioni e milioni di persone perbene. L’Italia che può andare a testa alta, non solo nello sport. Malgrado tutti gli Schwazer di questo mondo.
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