Lo scontro in Direzione Pd era nel conto, ma Enrico Letta ha cercato di svuotarne il potenziale con un ragionamento molto semplice: al partito serve un segretario e al governo un partito ”molto esigente” che lo sostenga e lo aiuti nei rapporti ”complessi” con il Pdl. Un modo per tenere distinti i due piani e per escludere implicitamente una sua candidatura alla guida dei democratici. Davanti ad una platea in tensione, dove Matteo Renzi ha catalizzato le attenzioni attorno al suo studiato silenzio, il premier ha fatto sfoggio di logica cartesiana: da una parte ha condiviso l’intenzione di Guglielmo Epifani di non consentire la sovrapposizione di due cariche che richiedono entrambe un impegno a tempo pieno, dall’altra ha cercato di stanare il sindaco di Firenze per capire se intenda candidarsi alla segreteria oppure attendere il momento buono per puntare alla premiership. Il sottinteso e’ che il passaggio da una posizione all’altra potrebbe non essere cosi’ scontato perche’ in fondo si tratta di mestieri diversi soprattutto in uno scenario di larghe intese la cui durata oggi e’ difficile da ipotizzare.
I renziani sono apparsi delusi e pronti a dare battaglia soprattutto sul terreno un po’ esoterico delle regole: gli uomini del leader rottamatore si rendono conto del pericolo di addentrarsi in un dibattito poco appassionante per l’opinione pubblica e il cui succo si riduce a stabilire se nelle primarie per il segretario potranno votare tutti oppure solo gli iscritti del Pd. Quest’ultima strada, indicata da Epifani, non favorisce Renzi la cui forza e’ soprattutto ”fuori” del partito, nella vasta area dei simpatizzanti progressisti e moderati. Il rinvio del voto in Direzione (anche sulla data del Congresso che si dovrebbe svolgere entro novembre) e’ dovuto ufficialmente ai molti iscritti a parlare. Ma sembra essere stato dettato anche da ragioni di opportunita’: l’attesa della sentenza su Berlusconi, che grava come un macigno su qualsiasi strategia per il futuro, e il tentativo di evitare rotture traumatiche. C’e’ infatti una larga parte del partito schierata alle spalle di Epifani (bersaniani, lettiani, franceschiniani), i dalemiani (che sostengono la candidatura di Gianni Cuperlo) in posizione d’attesa, i renziani contrari insieme ai giovani turchi.
La maggioranza e’ comunque a favore del ”governo di servizio” che non significa – ha spiegato il segretario – governo di ”pacificazione” (concetto che Rosy Bindi giudica equivoco) ma nemmeno – come ha spiegato il premier – governo di routine. Ci sono da approvare le riforme istituzionali promesse al Paese, i provvedimenti di natura economica piu’ importanti e anche la riforma elettorale senza la quale un ritorno alle urne produrrebbe fatalmente un’altra Grande Coalizione per assenza di alternative, scommette Letta. Qui c’e’ il punto politico chiave per il Pd: il presidente del Consiglio avverte infatti che il Movimento 5 Stelle non vuole le riforme ma ”la rottura del sistema”. Ergo, e’ un errore politico immaginare possibili alleanze con Beppe Grillo per sostituire il centrodestra berlusconiano: una stoccata a quanti lavorano per fare del suo governo una semplice parentesi parlamentare, una restrizione del perimetro di gioco per Renzi. La domanda e’ quale sara’ la risposta del sindaco di Firenze che ha lasciato la Direzione scuro in volto e senza fare dichiarazioni. Facile immaginare che non giunga prima della sentenza della Cassazione sul caso Mediaset che potrebbe sconvolgere qualsiasi strategia. Il pericolo e’ infatti quello della balcanizzazione: gia’ adesso si sta assistendo alla scomposizione delle forze tradizionali e alla nascita di nuovi esperimenti (a destra Gianni Alemanno annuncia una nuova formazione, al centro ci sono parlamentari in uscita da Scelta Civica e Udc, a sinistra ci sono almeno quattro piccoli partiti), una condanna del Cavaliere potrebbe determinare anche fratture in Forza Italia. Letta intanto insiste sul rispetto del suo cronoprogramma delle riforme e ha ottenuto lo stop dell’ostruzionismo grillino in cambio di uno slittamento del voto finale all’inizio di settembre. Il governo in questo momento appare l’unica boa a cui aggrapparsi nel mezzo di una vera tempesta.
































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