Il finanziamento pubblico venne introdotto in Italia a metà degli anni ’70 con l’idea di dotare i partiti politici di una fonte indipendente di sostentamento economico per le loro strutture interne. Ciò avrebbe rassicurato la pubblica opinione, che nel periodo precedente, aveva visto grandi scandali di tipo collusivo/corruttivo con protagonisti la politica stessa e grandi interessi economici. Quella tesi non sembrò convincere del tutto la popolazione. Ad esempio nel 1978 si tenne un primo referendum abrogativo in cui l’elettorato si divise, con il “sì” che raggiunse il 44% mentre praticamente tutti i partiti davano indicazioni per il “no”.
Nel 1993, poi, dopo gli scandali venuti alla luce con Mani Pulite, i Radicali promossero un altro referendum che vide il 90% dei votanti optare per l’abrogazione. Il finanziamento pubblico ai partiti, invece, nella sostanza continuò, poiché il Parlamento introdusse i “rimborsi elettorali”.
Nel 2000 i Radicali ritentarono con un altro referendum, che però non raggiunse il quorum lasciando, così, la situazione immutata.
Ed eccoci ai giorni nostri. Con un’altra tornata di scandali che ha coinvolto praticamente tutti i partiti della scorsa legislatura. Oggi è Beppe Grillo che platealmente con il suo movimento rifiuta ogni tipo di rimborso, sostenendo che la politica si può fare comunque, anche senza soldi. Nella realtà, proprio nel Movimento 5 Stelle ci sono stati alcuni problemi tra i neo-parlamentari che si sono trovati ad affrontare gli alti costi di Roma. In ogni caso, da oggi, il governo Letta parrebbe essersi adeguato. Ma la politica costa. Gli italiani lo sanno, perché sebbene in questo periodo di rifiuto verso qualsiasi tipo di vantaggio per la “casta”, sono, sul tema del finanziamento, divisi in due. Con una piccola maggioranza per mantenerlo (diminuendolo).
Se per il 45% “bisogna abolirlo del tutto e basta, si può fare politica lo stesso”; per il 54% “bisogna ridurlo molto e controllarlo, ma lasciarne una parte, perché altrimenti la politica la fanno solo i ricchi o i gruppi di potenti”.
Non vi sono grandi differenze di tipo sociale tra chi ha un’opinione e chi ne ha un’altra. L’unica cosa che si nota è che a favore della totale abolizione sono le persone più istruite, mentre le altre preferirebbero una riduzione ed un più severo controllo. A livello politico vi è una tendenza maggiore alla cancellazione nel centrodestra, mentre nel centrosinistra si preferisce un semplice, per quanto sensibile, decurtamento. Se guardiamo all’interno dei singoli elettorati, la differenza è ancora più evidente. Sono il Pd e Scelta Civica, entrambi al 70%, che più di tutti vogliono mantenere il finanziamento. E proprio come i loro parlamentari, gli elettori grillini sono anch’essi dibattuti. Solo il 58% vuole l’abolizione tout-court, mentre il 41% lo vorrebbe mantenere. Infine, occorre dire che il nostro sondaggio non sarebbe del tutto corretto, perché tra le possibilità di risposta non è stato previsto il “bisogna lasciare il finanziamento come è ora” o, addirittura, “aumentarlo”. Ma visto quel che succede, non volevamo fare arrabbiare gli intervistati.
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