Le emissioni inquinanti dell’Ilva non hanno solo colorato di rosso bruno i vicini quartieri Borgo e Tamburi ma hanno determinato nei due rioni una mortalita’ maggiore del 70% rispetto alla media cittadina, che per malattie tumorali e cardiocircolatorie e’ piu’ alta rispetto al resto della Puglia. Nell’ordinanza con cui hanno confermato il sequestro degli impianti a caldo del siderurgico, i giudici del Riesame snocciolano i dati sulle conseguenze del disastro ambientale provocato negli ultimi 17 anni, ‘con coscienza e volonta”, dalla ‘proprieta’ e dai gruppi dirigenti’ dell’Ilva. E invitano l’azienda a interrompere le emissioni nocive e a rendere gli impianti ecocompatibili. Per questo l’Ilva ha stanziato complessivamente 146 milioni. Una somma che – secondo il ministro dell’ambiente, Corrado Clini – serve ‘solo per alcuni di questi interventi, sicuramente non copre tutto il ciclo di investimenti necessari’. E a Clini che assicura che entro fine settembre sara’ pronta la nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia), replicano gli ambientalisti di Peacelink che chiedono che l’Aia imponga all’Ilva l’uso delle ‘migliori tecnologie in assoluto’, non quelle che sono nella disponibilita’ economica dell’impresa.
Discussioni a parte, la decisione del Riesame ha riproposto il dramma che vive la popolazione tarantina. Un disastro ambientale che nei 13 anni esaminati (dal 1998 al 2010) ha provocato – secondo le stime dei periti – 386 decessi totali, in gran parte per cause cardiache (30 per anno), 237 casi di tumore maligno (18 l’anno), 247 eventi coronarici (19 per anno) e 937 casi di malattie respiratorie (74 per anno), in gran parte della popolazione in eta’ pediatrica (638 casi totali, 49 per anno). I periti evidenziano anche che a Taranto la mortalita’, per patologie tumorali e del sistema cardiocircolatorio, per malattie ischemiche e dell’apparato respiratorio, e’ ‘piu’ alta rispetto alla Puglia’, e che per la mortalita’ infantile si registra ‘un eccesso, soprattutto con riferimento alle malattie respiratorie acute al di sotto dell’anno di eta’, oltre che a quelle tumorali’.
Pesanti anche le conseguenze per la salute dei lavoratori del siderurgico che nello stesso periodo hanno accusato malattie respiratorie e tumorali non da asbesto: ‘tale evidenza – sottolineano i giudici, citando le perizie – puo’ essere collegata all’esposizione dei lavoratori Ilva a cancerogeni ambientali diversi dall’asbesto, in particolare Ipa (idrocarburi policiclici aromatici, ndr) e benzene’. Nell’ordinanza sono riportati anche i risultati di un’analisi dell’Unita’ epidemiologica di medicina interna dell’universita’ di Bari sui livelli di idrossipirene urinario (che e’ la risultante di tutte le vie di assorbimento, respiratoria, cutanea e gastrointestinale del pirene) in 325 lavoratori della cokeria.
Dallo studio e’ risultato che ‘i lavoratori della batteria A risultano i piu’ esposti, con concentrazione media di Ipa pari a piu’ del doppio rispetto alla media dei lavoratori delle batterie B e C e, come, rispetto al limite biologico di esposizione (il superamento del quale provoca un rischio relativo di tumore polmonare), il 15,7% dei lavoratori della cokeria risultano avere una concentrazione di idrossipirene urinario maggiore e il 2,8% di questi addirittura valori maggiori di dieci volti il limite di esposizione’. Da qui le conclusioni dei periti che l’Ilva ha provocato ‘malattia e morte’. Anche per questo la magistratura ha posto i sigilli a sei reparti del siderurgico e ha affidato la loro gestione a tre custodi che oggi, assieme ai carabinieri del Noe, hanno compiuto una nuova ispezione nel siderurgico acquisendo documenti sul ciclo produttivo e sui livelli di inquinamento. Sui risultati delle ispezioni custodi e carabinieri discuteranno con il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, il 23 agosto. Durante la riunione sara’ approntato un primo piano di intervento finalizzato alla messa a norma degli impianti.
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