Roma – Rivedere la cooperazione, alla luce degli esempi europei e solo dopo aver delineato un quadro completo della situazione attuale, “per dovere di trasparenza”. Maria Edera Spadoni, eletta alla Camera con il Movimento 5 Stelle e membro della commissione Esteri, presiede il comitato sull’agenda post 2015 e la cooperazione allo sviluppo. In parte ‘italiana all’estero’ anche lei, poiché ha vissuto negli Stati Uniti e a Dresda per limitati periodi di studio, Spadoni è stata al centro delle cronache per la vicenda dello scontro in aula con il collega del Pd Lattuca, in seguito al quale è stata richiesta la divulgazione del video da parte dei questori della Camera. Prima firmataria della ratifica della convenzione di Istanbul, che riguarda proprio la tutela delle donne dagli atti di violenza, Spadoni insiste: “Su questa cosa non mollo, è una questione di principio, prima facciamo i decreti contro la violenza sulle donne e poi permettiamo che si tolleri un atteggiamento violento proprio in Parlamento? È assurdo”.
La cooperazione italiana è sempre più divisa tra ong che richiamano a casa i propri volontari per mancanza di fondi ed esperti super pagati per lavorare in paesi al di sotto della soglia di povertà. Come membro della commissione Esteri e presidente del comitato per la cooperazione allo sviluppo, intende presentare una proposta di riforma dei finanziamenti al settore?
“Al momento non disponiamo di dati effettivi sull’operato della cooperazione italiana, né a livello multilaterale né bilaterale. Ho chiesto una nuova relazione al Dgcs, la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, poiché l’ultima effettuata risale addirittura al 2011. Da allora è passato troppo tempo e, per questo motivo, è importante disporre di una relazione aggiornata. Di fatto non sappiamo quanto e come agisca la cooperazione italiana e questa lacuna crea un problema di trasparenza mentre, al contrario, è necessario avere un quadro completo e dettagliato della situazione attuale per agire e presentare nuove proposte di riforma. È vero che sono stati operati tagli importanti alla cooperazione, ma è altrettanto vero che bisogna iniziare a fare chiarezza, a capire dove vanno a finire i soldi investiti in questo settore. Noi siamo, da sempre, a favore della cooperazione, più che delle missioni militari. Vogliamo incrementare i finanziamenti, ma non prima di aver fissato dei parametri per la trasparenza nell’utilizzo dei fondi. Dobbiamo conoscere quali sono le ong che accedono ai finanziamenti e come questi vengono utilizzati”.
Presenterà una proposta di legge per riformare il settore?
“La legge 49/87 è certamente datata, so che alcuni gruppi hanno già depositato delle proposte di legge in questo senso. Personalmente sto analizzando altre realtà estere, come Inghilterra, Francia, Spagna e Germania, per valutare esempi positivi ai quali poterci ispirare anche in Italia”.
Ha già individuato un modello di riferimento?
“Non esiste un unico modello, da ogni paese è possibile trarre un buon esempio sotto specifici aspetti. Ad esempio apprezzo la Spagna per il livello di coinvolgimento delle Camere, c’è molta comunicazione tra ciò che viene fatto a livello governativo e il Parlamento. L’organizzazione tedesca, invece, è interessante per quanto riguarda la parte dei tecnici. Ogni stato presenta una sua peculiarità che si potrebbe riprendere positivamente”.
Gli ‘esperti’ che la Farnesina invia all’estero sono nominati dall’alto, non sono vincitori di concorsi riservati a questa categoria. Agirete anche in questo senso? Pensate di ridurre le somme destinate a queste missioni?
“Certamente è prioritario agire con netti tagli agli sprechi. È importante capire anche chi siano questi ‘esperti’, quanto guadagnano e, soprattutto, chi li sceglie. Stiamo lavorando su questo, ma si tratta di una situazione che deve essere studiata sotto ogni aspetto, valutando anche il fatto che il Dgcs manifesta la necessità di avere già una lista alla quale attingere in situazioni di emergenza durante le quali, per evidenti ragioni di tempo, non è possibile pubblicare un bando”.
Ha studiato in Pennsylvania e a Dresda, anche lei è stata, in parte, un’italiana all’estero. Alcuni parlamentari vorrebbero abolire questa circoscrizione, è d’accordo?
“Proprio questa settimana ho partecipato al MeetUp Europa, che si e’ svolto a Londra e che mi ha dato modo di constatare, ancora una volta, il valore dei connazionali residenti oltre confine. Il mondo degli italiani all’estero e’ costituito da profili molto importanti, anche dal punto di vista tecnico. Esso, infatti, raccoglie ingegneri, professori, manager, impiegati e molti altri lavoratori che rappresentano una fonte di preziosissime informazioni per noi che siamo in Parlamento e, in generale, per chi vive in Italia. Gli italiani nel mondo sono una risorsa e, personalmente, non sono a favore dell’abolizione della circoscrizione estero”.
E’ tra i cofirmatari della proposta di legge per la modifica dei Comites e l’abrogazione della legge che istituisce il Consiglio generale degli italiani all’estero, presentata dal suo collega Tacconi. Il sistema di rappresentanza estera deve essere riorganizzato?
“Il punto della questione consiste nel verificare che, realmente, il servizio dei Comites e del Cgie sia svolto in maniera efficace. Bisogna verificare come e se funzionano, se lavorano bene, se sono utili al cittadino. Troppo spesso ci siamo trovati a finanziare servizi o organismi che poi non si sono rivelati utili e, in questo senso, mi riferisco naturalmente anche agli italiani che risiedono in Italia, si tratta di un problema che non riguarda solo chi vive all’estero”.
E’ stata prima firmataria della legge per la ratifica della Convenzione di Istanbul e, proprio questa settimana, è stata celebrata la giornata contro la violenza sulle donne. Non pensa che si tratti anche di un problema di mentalità?
“Non parlerei di ‘mentalità’, penso sia un problema di ‘cultura’. Possiamo continuare a emanare decreti che inaspriscono le pene, come quello appena passato sul femminicidio, ma finchè non cambierà la cultura non otterremo risultati poiché un semplice decreto, purtroppo, non e’ un disincentivo. Deve realizzarsi un cambiamento anche, ad esempio, nelle immagini pubblicitarie, dove le donne sono messe in posizioni degradanti pur di vendere prodotti commerciali. Mi domando: che cosa può pensare un ragazzino di tredici anni che vede una donna in certe pose? Negli anni Sessanta c’era la pubblicità con la donna che non riusciva a aprire il ketchup senza l’aiuto di un uomo, oggi c’e’ questo. Insisto molto, inoltre, sul lavoro dei media e dell’informazione: quando leggo ‘donna uccisa per gelosia’ penso che, in quel modo, si deresponsabilizza il colpevole. Parlare di gelosia, cercare una motivazione, equivale a dare una giustificazione, induce a pensare: ‘lui non voleva, e’ stato un raptus, chissà lei che cosa avrà fatto’ e tante altre frasi tremende che a volte si sentono. L’uomo violento deve essere responsabilizzato, altrimenti non esistono leggi bastevoli. Mi domando: per un uomo che ha poco rispetto della donna e la considera un oggetto, un semplice decreto può essere un disincentivo? La mia risposta è no”.
C’è un’altra donna che si è spesso pronunciata contro l’attuale utilizzo della figura femminile nella pubblicità, Laura Boldrini. Proprio nei confronti della presidente della Camera avevate lanciato la campagna web #BoldriniFuoriilVideo in seguito alla vicenda dello scontro tra lei e il suo collega Pd Lattuca. Ha ricevuto segnali di solidarietà?
“In realtà non abbiamo scelto noi di lanciare quella campagna. Il giorno seguente il mio scontro con Lattuca ho avuto un incontro con i questori, in fase di audizione ho chiesto che fosse attuata una sanzione disciplinare, altrimenti siamo tutti giustificati ad aggredire i colleghi parlamentari, e che fosse divulgato il video dell’aggressione così come mi era stato richiesto da molti cittadini. Il questore D’Ambrosio mi ha risposto che dovevo fargli vedere queste richieste e, per questo motivo, abbiamo chiesto ai cittadini di scrivere alla Camera. Non mi interessa cavalcare l’onda, ho solamente eseguito quanto mi è stato chiesto dal questore. Insisto su questa vicenda perché voglio lo stesso trattamento degli altri”.
Pensa che se fosse successo a una donna di un altro partito, il trattamento sarebbe stato diverso?
“La cosa che mi ha fatto più male è stato proprio il silenzio, anche da parte dell’ufficio di presidenza e degli altri gruppi. In altre occasioni simili è stata sempre dimostrata molta solidarietà ad altre donne, anche quando dicevano di essere state offese online. Nel mio caso, invece, si è verificata una situazione effettiva. Anche per questo vorrei far vedere il video, perché in esso si vede chiaramente il gesto di Lattuca contro la mia testa e dietro un gruppetto di commessi che si muovono per fermarlo”.
Al momento non ha ricevuto risposte sulla pubblicazione del video?
“No, al momento non ho alcuna novità e non ho ricevuto nessuna lettera. La prossima settimana chiederò un incontro a questori o alla presidente, D’Ambrosio mi aveva detto che avrebbe valutato dopo aver visionato le richieste dei cittadini, quindi non è scontato che decida di divulgare il video. Ripeto, la cosa che mi ha fatto stare più male è stato l’isolamento totale e il silenzio, su questa vicenda non si dice nulla perché si spera di farla passare in secondo piano, si pensa ‘ma sì, dai, non è successo nulla’. Anche il questore D’Ambrosio, quando gli ho spiegato che Lattuca si è avvicinato facendo il gesto di colpirmi ma senza farlo poi realmente, ha esclamato: ‘Ah, ma non ti ha colpito’, come a dire ‘ci si può passare sopra’. Capisco il collega, capisco che la sua idea non fosse quella di colpirmi, ma è il gesto ad essere sbagliato. E poi, all’atto pratico, immaginate un uomo robusto che si avvicina alzando un braccio contro una donna molto più esile di lui. Io insisto, su questa cosa non mollo, è una questione di principio, prima facciamo i decreti contro la violenza sulle donne e poi permettiamo che si tolleri un atteggiamento violento proprio in Parlamento? È assurdo”.
Domenica due suoi colleghi, Luigi Di Maio e Paola Taverna, sono stati ospiti nel programma di Lucia Annunziata su Rai2. Sta cambiando il modo di fare comunicazione del movimento?
“Le scelte comunicative vengono dallo staff. Personalmente ritengo chi riesce ad essere comunicativo all’esterno, come ad esempio Di Maio, deve raccontare che cosa facciamo, altrimenti è come se non esistessimo. Stiamo lavorando tanto, è giusto spiegarlo agli italiani”.
Discussione su questo articolo