Tra il 2011 e il 2024 oltre 630mila giovani italiani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato il Paese per trasferirsi all’estero. Quasi la metà proveniva dalle regioni del Nord, oltre un terzo dal Mezzogiorno.
Il saldo migratorio netto è negativo per 441mila unità: significa che l’Italia ha perso, senza compensazione, una quota significativa della propria generazione più giovane. Nel complesso, i giovani emigrati in questi tredici anni rappresentano il 7 per cento dei giovani residenti nel 2024.
Solo nel 2024 sono partiti 78mila giovani, con un saldo netto di meno 61mila. Il numero degli espatriati equivale ormai a quasi un quarto delle nascite annuali, un rapporto che segnala una frattura crescente tra nuove generazioni e prospettive offerte dal Paese.
A rendere più grave il fenomeno è la sua qualità: nel triennio 2022-2024 oltre il 42 per cento dei giovani emigrati era laureato, contro una media del 33,8 per cento sull’intero periodo. Non se ne vanno solo in molti, se ne vanno sempre più formati.
Il costo economico di questa perdita è enorme. Il valore del capitale umano che ha lasciato l’Italia tra il 2011 e il 2024 è stimato in circa 160 miliardi di euro, pari al 7,5 per cento del Pil. È il risultato degli investimenti sostenuti dalle famiglie e dallo Stato per crescere e formare giovani che poi mettono le proprie competenze al servizio di altri sistemi economici.
Le regioni che pagano il prezzo più alto sono Lombardia, Sicilia e Veneto.
Le destinazioni privilegiate sono i principali Paesi avanzati europei e gli Stati Uniti. In questi Stati sono andati quasi mezzo milione di giovani italiani, mentre i flussi in ingresso verso l’Italia dagli stessi Paesi sono stati molto limitati. Il risultato è un rapporto fortemente squilibrato: nove giovani italiani in uscita per ogni giovane straniero in entrata.
A questo si aggiunge la mobilità interna, che continua a svuotare il Mezzogiorno a vantaggio del Centro-Nord. In tredici anni il Sud ha perso, al netto dei rientri, quasi mezzo milione di giovani, per un valore di capitale umano pari a 147 miliardi di euro. Anche in questo caso, la componente più rilevante è quella dei laureati e dei diplomati.
Le ragioni della partenza sono chiare. I giovani italiani cercano migliori opportunità lavorative, ma anche servizi pubblici più efficienti, maggiore riconoscimento dei diritti civili e una qualità della vita più elevata. Non è solo una questione di salario, ma di funzionamento complessivo della società.
Sul versante opposto, l’Italia appare poco attrattiva per i giovani degli altri Paesi avanzati. La Germania, il Regno Unito, la Spagna e la Francia sono le mete preferite per chi decide di trasferirsi all’estero, mentre l’Italia raccoglie una quota minima delle scelte. Questo squilibrio rende il fenomeno strutturale e non compensabile.
Non si tratta quindi di una mobilità fisiologica, ma di un esodo che sottrae al Paese risorse decisive per il futuro. Rendere l’Italia più attrattiva per i giovani significa affrontare i nodi irrisolti del sistema economico, istituzionale e culturale, investire in lavoro di qualità, diritti, servizi e prospettive di crescita. Senza questo cambiamento, la perdita di capitale umano continuerà a pesare come un freno strutturale sullo sviluppo e sulla coesione del Paese.






























