Torna ad esplodere la violenza a Bengasi, che si conferma il nodo della crisi di sicurezza che scuote la Libia da settimane e l’occasione e’ data da un nuovo attacco contro strutture oggi controllate dalle milizie paramilitari che lo Stato, in uno sforzo di normalizzazione, sta, progressivamente, inquadrando nelle Forze armate o sotto l’egida del Ministero dell’Interno. Intanto il presidente americano, Barack Obama e i leader di Italia, Germania, Francia e Regno Unito hanno ribadito il loro sostegno al governo libico. Il presidente, ha reso noto la Casa Bianca, ne ha parlato con Enrico Letta, Angela Merkel, Francois Hollande e David Cameron nella videoconferenza di ieri. I cinque hanno ribadito il loro ‘sforzo comune per sostenere il primo ministro Zeidan e il lavoro del governo libico per rafforzare la sicurezza e far avanzare il processo di transizione politica’.
La scorsa notte Bengasi e’ stata teatro di azioni violente ad opera di quelli che vengono etichettati semplicemente come ‘fuorilegge’, ma che sono il sintomo piu’ evidente di come ormai Tripoli sia in balia di chi e’ piu’ armato e sceglie appunto le armi per fare valere le sue ragioni. Il bilancio ufficiale – peraltro solo per quel che riguarda le Forze armate – parla di sei agenti delle unita’ speciali morti. Ma appare complicato pensare che i sei soldati siano le sole vittime di un attacco che e’ apparso pianificato, anche perche’ scattato in diversi punti della citta’, compresa la sorvegliatissima strada che conduce allo scalo aeportuale della citta’.
La contestualita’ di piu’ azioni militari (attacco ad una caserma ed ad un commissariato, esplosioni isolate in piu’ punti della citta’, distanti tra di loro) fa bene intendere che c’e’ stata una regia che ha cercato, riuscendovi almeno per lo spazio di una notte, di creare il caos. Altro punto che Tripoli si suppone stia valutando con attenzione e’ che, ad appena una settimana di distanza dall’altro attacco a Bengasi (alla caserma della milizia di ex ribelli chiamata ‘Scudo della Libia’, con 31 morti accertati), chi ha colpito lo ha fatto anche questa volta con una enorme forza di fuoco, non limitandosi a sparare con fucili mitragliatori Kalashnikov o a fare ricorso a rudimentali bombe a mano, ma anche con i micidiali Rpg, lanciarazzi che vengono puntati poggiandoli su una spalla e, quindi, concedendo una mobilita’ esiziale a chi ne fa uso.
Attacchi, quindi, in piena regola e non certo esplosioni di violenza estemporanea o criminale, come Tripoli cerca di accreditare, per marginalizzare il fenomeno della violenza nella citta’ in un ambito di semplice criminalita’. E c’e’ anche da riflettere su un altro, delicatissimo, quesito, cioe’ su chi alimenti il floridissimo mercato clandestino delle armi, che in Libia, grazie alla razzia degli arsenali gheddafiani (soprattutto quelli dell’Aeronautica, le cui porte furono spalancate agli insorti) , circolano in quantita’ enorme. Il problema, che inquieta l’Occidente, e’ che tali armi prendono la strada anche di altri Paesi – Algeria e, per ultima, Tunisia – oggi ‘affamati’ di tutto quello che puo’ servire alle rispettive ‘guerre sante’.
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