Ci si aspettava davvero di più dal Consiglio dei Ministri che un taglio sul doppio stipendio, valore 600.000 euro, da destinare alla spesa per interessi derivante dalle anticipazioni ai Comuni in seguito alla sospensione della rata Imu, che però ammonta a 16 milioni e che comunque è una bazzecola a fronte di un debito pubblico che si è attestato, crescita su crescita, a 2.035 miliardi, con disoccupazione record, Pil sotto terra e consumi a picco. Più che i soldi mancono idee e coraggio a Letta e ai suoi, perché l’Imu è solo una piccola parte di un prelievo tributario mostruoso, che pesa come un macigno su ciascuno di noi, perché urgono ancor più dell’Imu i tagli a Irap e Irpef e sono vitali strategie per il lavoro, perché senza questo tutto il resto è solo verniciatura e di superficie.
Pochi giorni fa l’Isfol l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori ha presentato alla Camera dei Deputati il suo rapporto annuale, concentrandosi sul capitale umano ed i dati relativi agli investimenti in formazione e al tasso di occupazione dei lavoratori più specializzati, documentando in modo chiaro che il Paese può ulteriormemnte perdere competitività se non affronta problemi come la carenza di formazione o l’inefficiente utilizzo di competenze.
In questi anni l’investimento in capitale umano ha subìto un rallentamento e mentre in alcuni paesi europei la crisi ha stimolato le occupazioni ad alta intensità di conoscenze, in Italia è cresciuta l’occupazione nelle professioni elementari e, negli ultimi cinque anni, i lavori ad alta specializzazione sono diminuiti dell’1,8%, contro un aumento medio in Europa del 2.
Inoltre, le statistiche dimostrano come nella ricerca di occupazione sono maggiormente penalizzate le persone che hanno titoli di studio bassi: nel 2011 il tasso di disoccupazione dei laureati è pari al 5,4% contro il 10,4% di chi possiede la licenza media. Ora, per consolarci, possiamo anche dire che la Francia è in recessione la Germania non cresce come previsto, ma quei paesi hanno migliori tassi di occupazione ed investimenti cospiqui sulle qualificazioni.
Liberare il mercato del lavoro, cambiare le modalità produttive e investire nella formazione dei lavoratori: erano queste le cose che ci aspettava oggi dal Consiglio dei Ministri dopo lo “spogliatoio” toscano, al di là del valore aggiunto che prima ancora delle tecniche vi sono le persone, da incentivare e salvaguardare.
Come ricorda Repubblica, con oltre 61mila tweet postati nella prima settimana di maggio, la rete si è cimentata nel ruolo di consigliere economico del governo Letta e gli ha dettato l’agenda per i prossimi mesi, con il lavoro al primo posto e poi la crescita economica, la riduzione del carico fiscale, maggiore ordine nei conti pubblici e sostegno al reddito delle famiglie.
Sarà bene che Letta ne tragga le dovute conclusioni e sappia creare una sintesi audace e nuova fra le due istanze che stanno emergendo e si fronteggiano, immobili, da tempo: da un lato quella che sostiene che lo Stato deve tirare fuori i soldi per esodati, disoccupati, licenziati e quanti altri, e creare impieghi che ridiano il sorriso ai disperati del momento; dall’altro, una teoria meno seguita, che dice invece che lo Stato, cioè la politica, deve creare un ambiente favorevole al lavoro eliminando lentezze, burocrazie, lacciuoli, criminali e quant’altro tiene lontano gli investitori di tutto il mondo dal nostro Paese.
In alcune regioni, dall’Emilia Romagna alla Campania, per passare dal Piemonte al Veneto, si è già toccato il fondo degli stanziamenti. Secondo le stime regionali è necessario un miliardo e mezzo di euro. E poi ci sono circa 25mila lavoratori, soprattutto nelle regioni del Meridione, all’interno del bacino comprensivo dei cassintegrati, che risultano in mobilità in deroga, ma che di fatto hanno già perso il lavoro. Per quanto riguarda la cassa integrazione in deroga, sarebbero più di 500mila i lavoratori, stando alle stime dei sindacati, coloro che la ricevono.
Il tasso di disoccupazione è in costante crescita (11,5%) e i soggetti senza occupazione (compresi gli inattivi e gli scoraggiati) rasentano la cifra impressionante di sei milioni di persone e tra i giovani, compresi tra 15 e 24 anni, i disoccupati toccano il 38,4%: una vera e propria piaga, contro la quale non bastano bende lenitive o gesti simbolici ed apotropaici, come rinunciare ad uno di due lauti stipendi.
































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