Mentre l’Europa si dimena per trovare una quadra sulla crisi siriana ci sono i paesi del golfo che se la ridono. Con la mano destra fingono di dare un aiuto affinché questa crisi cessi, pensando che attaccando la Siria l’area ritorni alla normalità, con la sinistra invece tengono il pugno duro non aprendo le frontiere ai milioni di rifugiati. Eppure quelli che scappano sono musulmani, dovrebbero essere i primi i fratelli di religione a tendere una mano.
Qatar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Kuwait, Oman e Bahrain non hanno offerto alcun posto per il reinsediamento di rifugiati siriani. Altre nazioni del Medio Oriente, in particolare, Turchia, Libano e Giordania si sono fatte carico di milioni di rifugiati del conflitto siriano.
Va ricordato che nessuno degli stati del Golfo è firmatario della Convenzione del 1951 sui rifugiati delle Nazioni Unite, e per giunta nel settembre scorso l’ONU nomina Faisal Bin Hassan Thad, ambasciatore dell’Arabia Saudita presso le Nazioni Unite, a presidente del Comitato dei diritti dell’uomo. Ci si aspettava da questo Paese un ruolo diverso da quello di contribuire a fomentare la guerra in Siria. Sappiamo benissimo che dietro ai ribelli qualche anno fa c’erano loro, oggi quei ribelli si chiamano ISIS: come si fa ad affidare quel Comitato a un Paese che costantemente bombarda e ha una guerra aperta nel silenzio di tutti nello Yemen?
Cosa c’è dietro al rifiuto di questi Paesi ad accogliere i siriani? E perché i rifugiati non vogliono andare in Arabia Saudita? Eppure è il Paese, quello del loro Profeta. Proprio in nome di quella religione dovrebbero avere un ruolo umanitario.
Alcuni analisti sostengono che i Paesi del Golfo temono che i rifugiati e i migranti possono rubare posti di lavoro ai cittadini, e possono anche destare preoccupazioni per la sicurezza e su possibili attentati. Tutto falso. La maggior parte dei sauditi non fa lavori di manovalanza, non a caso su 27 milioni di abitanti 7 sono stranieri, quindi al massimo toglierebbero lavoro agli indiani, a pakistani e cittadini del Bangladesh.
Per il discorso sicurezza, anche questa scusa è infondata: va ricordato che ogni anno durante il mese del Ramadan nel paese arrivano più di due milioni di pellegrini da tutto il mondo, anche dalla Siria. Ricordiamo che il pellegrinaggio alla Mecca è un obbligo, poiché è uno dei pilastri dell’Islam per ogni fedele quello di recarsi almeno una volta nella vita nel luogo santo. La verità è che c’è una totale indifferenza. I paesi del Golfo hanno le capacità organizzative e economiche per far fronte a questa tragedia, purtroppo gli interessi politici vanno oltre quelli umani, perché sappiamo che Arabia Saudita e Iran non vanno d’accordo. E a pagare per tutta questa tragedia sono i più deboli.
































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