Per chiunque ami questo piccolo capolavoro di pianeta chiamato Terra e creda in certi valori come l’etica e le tradizioni, c’è una brutta sorpresa: la playa Bavaro, famosa meraviglia della natura nonché’ polo turistico numero uno dei Caraibi, è sotto attacco.
Per chiarire, niente bombe nè droni all’orizzonte, e non arrivano gli indiani. Gli aggressori sono i grandi imprenditori (ma ormai anche quelli piccoli) della speculazione edilizia.
E’ in corso la più crudele e selvaggia corsa alla cementificazione. Senza freni, senza criterio, senza un progetto sostenibile, senza rispetto. La faccenda va avanti da anni, ma bene o male e con un po’ di spirito di adattamento si riusciva a digerirla in omaggio al progresso. Però l’ultimo assalto è un’altra cosa.
DOPO IL COVID
Subito dopo il covid, una manciata di grandi società immobiliari è sbarcata in questa zona, tra le più belle delle grandi Antille: un ecosistema ancora incontaminato dove fioriscono barriere coralline delicate, foreste di mangrovie e riserve naturali grandiose. In tanto paradiso sono arrivati i soldi. E’ cominciata la brutalità e l’arraffo. Una corsa a chi compra di più, costruisce di più, sfonda, sradica e cementifica e sventra di più. Una competizione tra le immobiliari.

La più aggressiva arriva dalle Baleari, si chiama Gesproingroup e conta già oltre una dozzina di ecomostri. Armata di capitali spagnoli di provenienza mai completamente chiarita, ha cominciato a comprare tutto il comprabile: terreni, case, villini, residences, piccole posadas, negozietti, pica-pollo (le rosticcerie a conduzione famigliare), condomini piccoli e grandi, alberghi e locande.
Butta giu’ tutto e dove c’era una bella villetta caraibica circondata da palme e ibischi arriva un condominio di sei o sette piani, un colosso di cemento simile ai bunker, pareti verticali, feritoie come finestre. L’accenno al paradiso tropicale, una (piccola) fioriera all’ingresso.

Della proposta d’acquisto non si sa molto, voci contradditorie e bocche cucite, ma prevale questa: il 10 per cento subito, il resto a babbo morto, cioè a fine lavori e non in denaro ma in appartamenti, il cui valore è stabilito dalla stessa immobiliare. Quasi un esproprio. Chi aveva bisogno chinava la testa e subiva. I miopi non capivano e accettavano, salvo poi pentirsi.
Non scherzano neanche quelli della Noval, i cui palazzi cancellano qualunque scorcio di cielo in cambio di tonnellate massicce di vetrocemento e metallo che da playa Bavaro si estendono oltre Cabo Engaño.



Poi ci sono quelli di Hard Rock Cafè Hotels y Resort, che hanno devastato il Macao e adesso stanno sciamando da questa parte; c’è il gruppo che ha distrutto Juanillo, un piccolo Eden che sonnecchiava felice nascosto tra i cocchi di Punta Cana e che oggi è un complesso grande come un paese e comprende una marina (porto turistico per le imbarcazioni da diporto); ma ci sono anche quelli del progetto Vista Cana (quasi una città nella città, che raggruppa un consorzio di costruttori); e poi le grandi multinazionali alberghiere mondiali e decine di piccoli falchi apprendisti-stregoni che cavalcano l’onda. Tanto per citare solo i più agguerriti.
Lo stile è sempre lo stesso: finto lusso uguale per tutti, pacchiano, da nuovi ricchi. Lo stile Miami, esportato là dove sbocciava la dolcezza e il sorriso del Caribe.

L’impatto sull’ambiente è mostruoso e ci si chiede come le autorità abbiano potuto permetterlo. Soprattutto Medioambiente, il ministero per le risorse naturali e la conservazione del verde e del paesaggio, oggi in mano al viceministro Lenin Ramon Bueno Rodriguez, supervisore dei progetti di costruzione e della gestione ambientale.
Ma anche il dipartimento del Comune di Veron, che al tempo in cui la vergogna è cominciata era già diretto dall’ingegner William Melo, funzionario che ancora oggi ha le competenze tecniche. Responsabilità pesanti anche per il Comune di Higuey, che ora non ha più giurisdizione diretta su Bavaro, ma che fino all’anno scorso ce l’aveva eccome, nella persona dell’architetto Edder Avila.
“Sporcizia, materiali di scolo, incuria e putiferio ovunque”, commenta l’avvocato Daniel Guerra, docente di diritto costituzionale all’Università del Este, che si occupa di svariate controversie sull’argomento. “E mentre si costruisce senza pagare imposte in ossequio allo sviluppo, i mezzi pesanti distruggono le strade costruite dal Comune coi soldi della collettività”.

Non è tutto. Bavaro non è dotato nè di fognature né di acquedotto e ciascuno si fa la sua cisterna e la sua fossa biologica. Questa gente sta costruendo giganteschi pozzi neri (dice coi depuratori ma non mostra le schede) per centinaia di appartamenti, servizi e abitazioni concentrati in un’area limitata, in totale assenza di coordinamento con quelli già esistenti e (soprattutto) con le posizioni delle cisterne d’acqua dolce. E visto che siamo a pochi metri dal bagnasciuga, è lecita qualche domanda anche sull’impatto con l’ambiente marino.
Anni di macerie, sventramenti, strade divelte e invase da materiali da costruzione e liquami dei mezzi pesanti che perdono acqua, cemento e chissà cos’altro. Diversi turisti innaffiati incidentalmente, danni di ogni genere alle proprietà confinanti. Per ogni lotto sbancato se ne sono andati in malora da trenta a centocinquanta cocchi adulti di qualità india, la migliore, quella col latte dolce e vanigliato. Travolti da una pala meccanica senza criterio e senza cuore.

La vita si è fatta difficile. Fermi o quasi i piccoli commercianti, i bar, i ristoranti. Turisti stralunati nel chiasso e nella confusione. Il comitato di quartiere sul piede di guerra tra carte bollate e riunioni con gli uffici competenti. Sit-in e manifestazioni di protesta. I pochi villini rimasti, ormai incastrati tra pareti a strapiombo, senza più sole nè aria nè luce, con le loro belle bouganvilles mortificate nel cemento.
ECO MOSTRI NEL CUORE DI BAVARO
Intanto gli eco-mostri continuano a salire verso il cielo, concentrati soprattutto (ma non soltanto) nel Corazon de Bavaro, la zona di maggiore attrazione turistica, affacciata sulla playa, dove la speculazione rende di più. Il denaro sembra che non rimanga neanche nel paese. Se ne va direttamente alle Baleari, alle Cayman o chissà dove.
Gli abitanti sono imbufaliti, sdegnati, incazzati. Qualcuno parla di rivolta e c’è chi medita arrembaggi caserecci a base di manghi acerbi (duri come sassi) e banane mature (che si spiaccicano come le torte in faccia). C’è da ringraziare il cielo che questa è gente di buon carattere e la lotta dura la fa coi manghi.

Ma il bello viene adesso. Perché stanno già arrivando le prime magagne. Infiltrazioni che vanno a danneggiare le travi di sostegno, infrastrutture difettose, rifiniture che si guastano. In qualche condominio non si dorme perché’ attraverso le pareti di polistirolo espanso intonacato si partecipa alla vita dei vicini, le finte jacuzzi fanno un bordello di rumore, la sicurezza fa acqua. Vengono al pettine i nodi del lavoro al risparmio.
Qualcuno comincia a cercare di rivendere. Ma in molti casi i documenti di proprietà non ci sono ancora.
Viene spontaneo un paragone. A duecento chilometri a nord di qui sboccia un piccolo arcipelago, le isole Turk and Caicos, dove le regole sono tassative anche per la cuccia del gatto: solo ville di gran classe, nel rispetto dello stile e delle tradizioni locali, a impatto zero, cioè a un solo piano, rigorosamente al di sotto della macchia. Lì il paradiso continua.































